Il 22 aprile sono stata invitata a un picnic per sole donne. L’appuntamento era a una sorgente, una delle tante che i coloni hanno strappato ai villaggi palestinesi. Le autorità militari, inutile dirlo, sono complici: quando i palestinesi cercano di raggiungere la sorgente i soldati glielo impediscono con la scusa di voler evitare “scontri”. Manaal Tamimi, da Nabi Saleh, e la sua amica Salwa, una femminista di Ramallah, hanno inventato una nuova forma di lotta popolare: solo donne, e divertimento. Perché no? All’appuntamento si sono presentate alcune decine di persone. Ad attenderle c’erano quattro jeep dell’esercito, ma stavolta i soldati non hanno osato bloccare l’accesso alla sorgente. Nessuno scontro, nessuna notizia.

Nel tardo pomeriggio ho incontrato il padre di una bambina di cinque anni che era rimasta ferita gravemente lo scorso 16 febbraio, quando uno scuolabus è stato investito in pieno da un camion. In sette hanno perso la vita. La piccola Mira ha ustioni sul 70 per cento del corpo. È già stata operata sei volte ed è sempre sotto sedativi perché il dolore è insostenibile. Si trova in un ospedale israeliano e le cure sono pagate dall’assicurazione medica israeliana.

Il suo asilo si trova sotto la giurisdizione del ministero dell’educazione palestinese. Ma nessuna delle componenti palestinesi (asilo, bus, azienda del camion) ha un’assicurazione adatta a coprire la lunga riabilitazione necessaria a Mira, che dovrà vivere una vita da invalida.

*Traduzione di Andrea Spracino.

Internazionale, numero 946, 26 aprile 2012*

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