Il breve tempo trascorso dal mio arrivo (appena dodici ore) non mi permette di dire molto su Visby, la città principale di Gotland, l’isola più grande della Svezia. Dalla mia camera vedo parte delle mura che gli abitanti della cittadina cominciarono a costruire nel settecento per difendersi dai guerrieri provenienti dal mare e dagli abitanti delle campagne. Le mura sono lunghe 3,4 chilometri e mi sembrano basse e inoffensive, probabilmente perché sono abituata alla barriera alta otto metri che separa i palestinesi dalla loro terra.
Sono a Visby per partecipare alla festa democratica che si svolge ogni anno dal 1968, e che attira i rappresentanti di tutti i partiti e migliaia di cittadini interessati ai dibattiti. Ci sono anche alcuni attivisti svedesi decisi ad arrivare nella Striscia di Gaza via mare. Il raduno di questa settimana è un’opportunità per attirare l’attenzione sul tema e io sono stata invitata a tenere un discorso, anche se in passato ho espresso le mie perplessità su questo tipo di azioni.
Insistere sull’idea della flottiglia per Gaza mi sembrava una forma di attivismo narcisista, che non affronta questioni reali come le politiche israeliane mirate a frammentare la società palestinese. Ma mi sono bastate dodici ore per capire che mi sbagliavo: navigare in segno di protesta è un modo per toccare la coscienza di un popolo per cui il mare è sempre stato un mezzo di collegamento, comunicazione e trasporto. Non riescono a capire che per i palestinesi il mare è diventato un muro.
Traduzione di Andrea Sparacino
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