Sono ancora nel nord di Israele, quasi in incognito. Con me ci sono cittadini israeliani, che nella migliore delle ipotesi vivono negando la realtà e nella peggiore sostengono le politiche israeliane sulla questione palestinese. A cena sono seduta vicino a un giovane con il codino. “Che lavoro fai?”, mi chiede. “Sono una giornalista”, rispondo a bassa voce. Il ragazzo è curioso: “E dove?”. Rispondo. Sul suo viso appare un’espressione rispettosa. Chiaramente non legge Ha’aretz, ma almeno sa che esiste. “Scrivo dell’occupazione”, proseguo. Mi sorride: “Ah, quindi non sei molto amata qui”. Scoppiamo a ridere, poi dice: “Ma non preoccuparti, un giorno l’occupazione finirà. Non si può andare avanti così per sempre”.
Mi chiede quanti anni ho. Dato che l’età non è una colpa, gli rispondo: 56. La sua reazione mi sorprende: “Allora conoscerai Matzpen”. Era un gruppo marxista nato a metà degli anni sessanta che denunciava la colonizzazione. Evidentemente il ragazzo è più politicamente consapevole di quanto pensassi. Scopro che è nato in un insediamento sulle alture del Golan, ma non vive più lì. Intanto continua il suo interrogatorio: “Vivi a Tel Aviv?”. “No, a Ramallah”. Spalanca gli occhi, sbigottito. È commosso: “Che posto splendido”. Immagino che l’abbia visitata da soldato. Lo conferma, e mi racconta di quando ha aperto gli occhi lasciando l’esercito. “Questa occupazione finirà”, conclude. “Con un grande botto, ma finirà”.
Traduzione di Andrea Sparacino
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it