Il mio accompagnatore mi ha chiesto di chiudere il finestrino dell’auto o di lasciare aperto solo uno spiraglio tra il vetro e il pannello di plastica dura installato nella maggior parte delle macchine di São Paulo.

In questo modo i ladri non possono infilarci una pistola e intimarci di consegnargli i soldi. I ladri professionisti sono pericolosi, ma i dilettanti lo sono ancora di più, perché la paura potrebbe spingerli a sparare a caso. In gran parte sono tossicodipendenti. Li ho visti radunarsi nei parchi. Erano soprattutto neri. Anche tutti i senzatetto che ho visto erano neri. Come i tossici, anche loro discendono dagli schiavi descritti con grande realismo nelle litografie di Jean-Baptiste Debret in mostra al Museu de arte de São Paulo.

Le opere del pittore francese dell’ottocento sono state usate in un’installazione dell’artista portoghese Vasco Araujo. Araujo ha posizionato in mezzo a una sala alcuni tavolini di legno con sopra un uovo di legno dipinto aperto a metà e due o più statuine, una bianca e le altre nere. Le statuine, in una sorta di duetto con le opere di Debret appese alle pareti, raffiguravano atti di violenza e sottomissione.

Una volta un mio amico che lavorava con i tossicodipendenti ha chiesto a un nero perché si facesse di crack. “Fa passare la fame”, ha risposto l’altro. La schiavitù è incisa per sempre nelle società che l’hanno tollerata. Non solo nella memoria, nella vergogna e nell’oblio, ma anche nella caratterizzazione razziale della povertà e della ricchezza.

Traduzione di Andrea Sparacino

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