“Sa cosa ha detto una volta Malcolm X?”, mi ha chiesto il tassista. Dal mio sedile sul retro potevo vedere il suo sorriso sardonico. Avevo già saputo che era nato in Somalia, che viveva a Washington da 23 anni e guidava i taxi da 20. “Quindi hai cominciato a guidare quando avevi cinque anni?”, gli avevo chiesto. Lui era scoppiato a ridere. In fondo un po’ di esagerazione non ha mai fatto male a nessuno. Poi mi aveva chiesto qualcosa sulla mia conversazione con un collega appena sceso dal taxi, coordinatore delle ricerche sul campo per l’ong B’tselem.

Siamo stati invitati a Washington per incontrare alcuni funzionari del dipartimento di stato, esponenti di think tank e attivisti, e discutere della politica israeliana basata sulla demolizione delle case e l’espulsione forzata dei palestinesi. L’esperienza ci ha insegnato a non farci troppe illusioni sugli effetti concreti di questi incontri, ma comunque partecipiamo con impegno. E l’autista? Ha studiato arabo a scuola, in Somalia.

Abbiamo attraversato il National mall, un complesso di strade, musei e monumenti sparsi tra i ministeri federali, la Casa Bianca e le sedi delle Nazioni Unite, della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Il cuore dell’impero. Siamo passati anche davanti al Lincoln monument, l’ennesima costruzione in stile greco antico dove il 28 agosto 1963 Martin Luther King ha pronunciato il suo famoso discorso “I have a dream”. C’è una targa che indica il punto esatto dove si trovava il reverendo. “Malcolm X ha detto a King che per sognare bisogna dormire, ma la lotta ha bisogno di gente sveglia e vigile”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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