Disobbedienza civile
Bassem Tamimi, originario di Nabi Salih, in Cisgiordania, è rimasto sorpreso quando mi ha incontrato a un evento di disobbedienza civile a est di Gerusalemme.
Sa bene che ho paura delle reazioni violente dell’esercito israeliano. Si protestava contro il progetto israeliano di costruire un insediamento per beduini su terre confiscate al villaggio palestinese di Abu Dis. Da due settimane gli attivisti cercano di ostacolare i lavori montando delle tende e costruendo delle strutture provvisorie in legno o in cemento, senza farsi intimidire dall’esercito israeliano.
La mattina del 16 febbraio i soldati hanno sparato delle granate stordenti verso di noi. Io sono scappata, ma i giovani attivisti sono rimasti lì con il loro leader, il più anziano Bassem. Più tardi io e Bassem siamo andati a Hebron per discutere della questione con alcuni dirigenti di Al Fatah. Quando siamo tornati, abbiamo saputo che trenta attivisti erano rimasti feriti e cinque erano stati arrestati. Le strutture provvisorie erano state smantellate, ma gli attivisti rimasti ne stavano già costruendo delle altre.
Negli ultimi due anni gli attivisti palestinesi favorevoli alla resistenza pacifica hanno partecipato a molte proteste nell’area C, dove gli abitanti non possono neanche scavare un buco nel terreno senza il permesso di Israele. Le prime iniziative hanno ricevuto il sostegno dell’Autorità Palestinese, ma questa volta gli attivisti hanno rifiutato qualunque aiuto. Tutti i materiali usati sono stati donati da privati.
Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2015 a pagina 22 di Internazionale, con il titolo “Disobbedienza civile”. Compra questo numero | Abbonati