L’incontro organizzato dal comitato di lotta alla detenzione di massa si è svolto in una sala interna di un elegante caffè aperto due anni fa sulla 116ª strada, ad Harlem. La discussione, promossa dall’Istituto per la ricerca e gli studi afroamericani della Columbia university, ha attirato poco più di venti persone, in gran parte nere. La delusione del moderatore e dei quattro ospiti – attivisti ed esponenti di associazioni per la tutela delle minoranze – era evidente. Comunque, è stato interessante ascoltarli parlare del loro lavoro, le loro battaglie, dei successi e dei fallimenti nell’epoca del movimento Black lives matter.

Clemenza eccessiva?

In questa occasione ho saputo della sentenza del 19 aprile nei confronti di Peter Liang, un poliziotto che nel 2014 ha ucciso il nero Akai Gurley. Gurley stava scendendo da una scala buia in una casa popolare a Brooklyn. Due poliziotti di pattuglia si trovavano all’ottavo piano quando hanno sentito alcuni rumori. Liang ha sparato. Il proiettile ha rimbalzato sul muro e poi ha colpito Gurley. Il poliziotto è stato condannato a cinque anni con sospensione condizionale della pena e a ottocento ore di servizi sociali per omicidio colposo.

La comunità nera ha protestato per una sentenza considerata troppo morbida, mentre altri avrebbero preferito un’assoluzione piena. Liang è il primo poliziotto newyorchese a essere processato per omicidio dal 2005. È di origine cinese, e la comunità sinoamericana ritiene che sia diventato un capro espiatorio della procura federale, poco incline a incriminare i poliziotti bianchi che hanno ucciso persone nere. Nel caso Gurley, il giudice era di origini coreane. Questo potrebbe spiegare la sua clemenza?

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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