Senza più lacrime
N. ha riso la prima volta che mi ha descritto i due minorenni che ha ripreso da lontano mentre scuotevano i rami d’ulivo con un bastone raccogliendo le olive. Avevano gli auricolari e indossavano zucchetti bianchi e un talit (l’indumento rituale ebraico).
N. ha riso anche quando gli ho chiesto se la polizia israeliana, che aveva chiamato per fermare questo furto alla luce del sole, avrebbe portato avanti la cosa denunciando i ragazzi. La polizia ha trovato tre sacchi pieni di olive che i ragazzi israeliani si erano lasciati alle spalle prima di scappare, quando hanno notato gli agenti.
La terza risata di N. è stata particolarmente fragorosa, ed è arrivata dopo che gli ho chiesto quante volte avesse già testimoniato davanti alla polizia israeliana a proposito degli attacchi dei coloni contro il suo villaggio, Burin, a sud di Nablus. Non ricordava il numero esatto. Sa soltanto che nessuno è mai stato incriminato o processato.
Soltanto nel mese di ottobre sono stati registrati dodici casi di aggressioni israeliane nei confronti degli agricoltori palestinesi nel centro della Cisgiordania, di cui tre soltanto nel villaggio di Burin: aggressioni fisiche, furto di olive e soprattutto mutilazioni di centinaia di alberi. Negli ultimi tre anni Burin ha subìto 48 attacchi, 24 soltanto nel 2018.
Burin è una metafora delle decine di villaggi sottoposti a una violenza impunita da parte dei coloni israeliani, che dopo i crimini tornano tranquillamente nei loro insediamenti. Ridendo, N. mi ha spiegato di aver finito le lacrime.
(Traduzione di Andrea Sparacino)