Un mese fa il risultato delle presidenziali romene sembrava già scritto: il primo ministro Victor Ponta vincitore al ballottaggio contro Klaus Iohannis con uno scarto di almeno 5 punti. Il primo turno è andato come previsto. Poi, però, ci sono state le immagini delle code chilometriche di romeni all’estero che non sono riusciti a votare per la mancanza di seggi, le relative polemiche e le dimissioni del ministro degli esteri Titus Corlățean. E infine la sorpresa del 16 novembre, con il successo di Iohannis.
Sostenere che il risultato è la vittoria del nuovo, voluta in massa dai cittadini romeni stanchi del vecchio regime, è un po’ troppo facile. Solo due anni fa, infatti, Ponta aveva vinto a mani basse le elezioni legislative, seppure con un’affluenza inferiore al 50 per cento, ed era anche riuscito ad avere la meglio nel referendum del luglio 2012 sull’impeachment del presidente Traian Băsescu, poi invalidato per mancanza del quorum. Insomma, fino a una paio d’anni fa il nuovo era lui.
Inoltre, il partito di Iohannis, il Partito nazional liberale (di centrodestra), fino a febbraio ha fatto parte della coalizione di governo che ha sostenuto il socialdemocratico Ponta ed è tradizionalmente vicino al partito a cui è legato Băsescu. Difficile parlare di una formazione estranea alle vecchie dinamiche di potere e alla corruzione. E difficile anche interpretare il voto secondo le classiche divisioni destra/sinistra.
Il punto è che la differenza l’ha fatta la mobilitazione dei romeni, all’estero come in patria. Tra il primo e il secondo turno la partecipazione è cresciuta dal 53 al 62 per cento. E la diaspora è andata alle urne in massa: quasi 400mila voti, più del doppio rispetto al 2009, in stragrande maggioranza contro Ponta e abbastanza numerosi da spostare gli equilibri tra i due candidati. Un ruolo importante l’ha avuto anche il profilo di Iohannis. Appartenente alla minoranza tedesca della Transilvania, questo ex insegnante di fisica dal 2000 è sindaco della città di Sibiu, una delle meglio amministrate del paese e nel 2007 capitale europea della cultura.
A scrutinio ancora aperto Ponta ha ammesso la sconfitta e ha chiamato Iohannis per complimentarsi. Ma ha sottolineato l’intenzione di rimanere primo ministro fino alla scadenza naturale del mandato, nel 2016. Se ci riuscirà, c’è da sperare che la convivenza con il nuovo presidente sia meno problematica di quella con Băsescu e che non si ripeta lo scontro istituzionale che nel 2012 ha rischiato di far precipitare il paese nel caos.
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