Il 20 novembre, dal collegio elettorale di Rochester e Strood, nel sud dell’Inghilterra, potrebbe arrivare al parlamento britannico il secondo deputato dello United Kingdom independence party (Ukip). Mark Reckless, eletto nel 2010 con i conservatori e passato agli euroscettici di Nigel Farage a settembre, dovrà affrontare nuovamente le urne per rimanere a Westminster. L’impresa è già riuscita a Douglas Carswell, uscito dal Partito conservatore ad agosto e poi trionfatore alle suppletive nel suo collegio, a Clacton, con il 60 per cento dei voti.
Per l’appuntamento del 20 novembre i mezzi d’informazione britannici hanno parlato di “voto cruciale”. Un successo dell’Ukip sarebbe un ulteriore terremoto politico in un paese che sta lentamente vedendo franare il bipartitismo, considerato da sempre l’architrave del suo sistema politico.
Finora la grande capacità di Farage è stata quella di guidare il dibattito politico britannico, stabilendo delle priorità a cui i conservatori si sono adeguati. Il referendum sull’uscita dall’Unione europea promesso dal premier David Cameron per il 2017, la battaglia sul contributo extra richiesto da Bruxelles, l’insofferenza per la libera circolazione dei lavoratori dei paesi membri e, più in generale, il tentativo di ridisegnare i rapporti tra Londra e l’Europa: su tutti questi temi negli ultimi mesi il primo ministro ha dato l’impressione di inseguire l’Ukip e le frange più euroscettiche del suo partito. Eppure, a conti fatti, anche se alle elezioni del 2015 Farage sottrarrà voti ai tory nelle circoscrizioni elettorali in bilico (i cosiddetti marginal seats), porterà in parlamento al massimo una manciata di deputati. Rimarrà quindi alla guida di un partito minoritario.
Ma la minaccia costituita da una formazione euroscettica e xenofoba, che tutti fino pochi mesi fa liquidavano come “un’accolita di lunatici, razzisti e mattacchioni”, e la fronda di qualche decina di deputati conservatori possono davvero giustificare le concessioni che sta facendo Cameron? O forse il primo ministro, che euroscettico non è, non ha il coraggio e le capacità di leadership per spiegare ai britannici perché al Regno Unito conviene rimanere nell’Unione europea?
Si dice spesso che Cameron sia l’unico leader in grado di convocare un referendum sull’uscita dall’Unione per poi guidare da una posizione di forza una campagna elettorale per restare in Europa. Intanto però le sue posizioni ondivaghe – in Europa dice una cosa, a Londra ne fa un’altra – costituiscono un azzardo. Il confine è labile: se il primo ministro decide davvero di sostenere le riforme chieste dall’Ukip, giocando con il fuoco di veti e ultimatum, allora rischia di aprire la porta a uno scenario il cui unico sbocco è l’uscita dall’Unione europea. Una mossa che avrebbe conseguenze difficili da gestire.
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