Non capita spesso di vedere Karl Rove, il grande stratega di George W. Bush, fare contorsionismi su Fox News. Eppure la settimana scorsa è successo. Rove è stato costretto a ritrattare la sua reazione spontanea alla sorprendente vittoria di Christine O’Donnell alle primarie repubblicane per il seggio al senato del Delaware. Prima ha definito il clone di Sarah Palin una “fanatica”, poi si è impegnato a farle una donazione personale. Se c’è stato un momento in cui il movimento dei Tea party ha preso il sopravvento sull’establishment repubblicano, è stato questo.

Palin ha degli ottimi motivi per esultare. Il suo sostegno a O’Donnell, una giovane donna che le somiglia straordinariamente e che, come lei, è una fanatica religiosa e considera Barack Obama “antiamericano”, è stato fondamentale per il risultato nel Delaware.

Anche i democratici e i liberal hanno esultato. Un politico esperto e molto popolare come il repubblicano Mike Castle è stato sostituito da una donna che non ha alcuna esperienza, che ha pubblicamente condannato la masturbazione, che è convinta che la Terra abbia seimila anni, è sicura che l’omosessualità si possa curare, che deve undicimila dollari al fisco e che una volta ha fatto causa a un’organizzazione conservatrice per discriminazione sessuale. Perfino Rove ha capito che l’estremismo di O’Donnell è un po’ troppo per gli elettori moderati del Delaware.

I democratici, però, dovrebbero aspettare a festeggiare. O’Donnell parte sconfitta e la sua candidatura fa sembrare ancora meno plausibile la riconquista del senato da parte dei repubblicani. Ma al Partito democratico non basterà sfruttare le sue idee sull’evoluzione per vincere le elezioni di medio termine. L’economia domina su tutto il resto. La vittoria di O’Donnell potrebbe essere il primo segnale di una vittoria travolgente dei repubblicani alla camera oltre che dell’eliminazione dei loro rappresentanti più pragmatici e bipartisan.

Un cambio di scenario che non riguarda le scelte politiche. I sondaggi dimostrano che su temi specifici gli elettori preferiscono i democratici ai repubblicani. Non vogliono tornare all’era Bush. Ma con il tasso di povertà più alto dal 1959, la presa di coscienza che questa crisi non è un’anomalia, l’ulteriore crollo del mercato immobiliare e il debito nazionale che sta per raggiungere il livello dell’insolvenza, i cittadini cercano il modo di sfogare la loro rabbia.

Tutti i politici in carica rischiano di perdere, perfino il governatore repubblicano del Texas, Rick Perry. Entrambi i partiti sono disprezzati. E l’amorfo movimento dei Tea party riesce a cavalcare il malcontento. Naturalmente c’è anche un aspetto oscuro nel movimento: i suoi sostenitori sono quasi tutti bianchi e anziani, fa leva sui sentimenti antimusulmani e ha messo Barack Obama sullo stesso piano dei terroristi. Proprio questi elementi culturali servono ad alimentare l’obiettivo principale del movimento: la guerra alla politica fiscale del governo.

La base repubblicana è stata a guardare mentre Bush riduceva il paese in bancarotta, creava per gli anziani il sistema sanitario più costoso dai tempi di Lyndon Johnson, non faceva niente contro l’aborto e distingueva tra l’islam in generale e Al Qaeda. Ha sopportato tutto questo in silenzio.

Ma quando è arrivato un presidente nero che, per affrontare una depressione, è stato costretto a prendere in prestito altri soldi per tenere a galla l’economia, gli elettori repubblicani non ce l’hanno fatta più. I Tea party sono un’entità disorganizzata, confusa e amorfa, quindi difficile da sconfiggere e perfino da descrivere. Ricevono anche un importante supporto dalle radio private e da Fox News.

L’idea conservatrice di ridurre al minimo l’intervento statale nell’economia è stata effettivamente distrutta da Bush, ed è assolutamente necessario tornare alla disciplina fiscale. Per motivi culturali e di opportunità, il movimento non può ammettere che Obama è un moderato o cogliere l’occasione per stringere un accordo bipartisan sul debito con lui.

Ma sarebbe impossibile pareggiare il bilancio senza nuove tasse e solo con i tagli allo stato sociale che vorrebbero i Tea party. Al contrario, più il movimento si radicalizza, più sarà in grado di provocare una paralisi fiscale a Washington che potrebbe peggiorare la situazione del debito e avvicinarci all’insolvenza.

La sensazione è che gli esponenti dei Tea party siano disposti a portare il paese alla rovina pur di non sacrificare un grammo della loro purezza ideologica. Obama avrà sempre il diritto di veto. Ma credo che questi estremisti, una volta entrati al congresso, faranno guerra al presidente molto più di quanto abbiano fatto con Bill Clinton. Fino a quando la loro regina guerriera non si prenderà la Casa Bianca.

Sarah Palin sta aspettando dietro le quinte. E questo strano momento è l’inizio dello scontro catartico e apparentemente inevitabile tra lei e Obama.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 865, 24 settembre 2010*

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