Nei primi giorni dell’anno nuovo l’Europa diplomatica ha dimostrato ancora una volta la sua cinica fedeltà a un doppio metro di giudizio in questioni che riguardano i diritti umani. E anche fino a che punto le è indifferente il destino di alcuni europei che vivono sul suo territorio. E così in Cecenia il mandato della missione Osce è finito. Sembrerebbe tutto a posto, la guerra volge al termine, nessuno ha più bisogno della tutela internazionale.
Che significa tutto questo? Che succederà adesso? E a cosa è servita questa missione? Certo, si parlava da tempo di una possibile fuga della diplomazia ufficiale europea dalla zona della cosiddetta operazione antiterrorismo nel Caucaso settentrionale. Già da qualche mese circolavano voci che il governo russo, membro di questa organizzazione paneuropea per la sicurezza e la cooperazione nel continente, facesse pressioni spudorate sull’Osce – “La guerra è finita, lasciate perdere…”. Ma volevamo continuare a sperare.
Invece è successo: l’Europa ha ceduto alle pressioni. O per dirla tutta: l’Europa è strisciata via vigliaccamente da un luogo dove bisognava lottare e insistere sulle proprie posizioni. Così ha firmato la condanna dei ceceni a non essere più considerati europei, uguali agli altri e degni di tutti i diritti universalmente riconosciuti, rifiutandogli anche il diritto a un controllo formale dell’Europa sull’andamento della guerra. Giudicate voi stessi.
È noto che le nostre autorità, di fatto, non permettono ai giornalisti stranieri di recarsi in Cecenia; i tour di gruppo non contano, dal momento che la zona di guerra si può visitare solo sotto scorta armata e con il controllo dei collaboratori dell’amministrazione del presidente. Questo significa che in Europa non c’è mai stata e non c’è un’informazione libera di prima mano sugli orrori di una guerra che si prolunga ormai da quattro anni. E perciò: cosa ne sa l’Europa dell’assoluta anarchia bellica che regna in Cecenia? E come può reagire adeguatamente? È proprio quello che mi hanno detto centinaia di europei influenti: politici, giornalisti, parlamentari, diplomatici. Come dire: “Non sappiamo” e perciò non possiamo reagire.
Ma il dramma è proprio che “sappiamo”. E “sappiamo” fin troppo bene. In Europa ci sono stati e ci sono signori che sanno. In Cecenia non sono mai mancati “occhi e orecchie” ufficiali degli europei. E l’Europa, o meglio la sua parte politico-burocratica, doveva essere perfettamente al corrente della questione cecena. Questi “occhi e orecchie” sono innanzitutto le persone che avevano nelle loro mani il mandato ufficiale di osservatori internazionali per conto delle maggiori organizzazioni paneuropee (il Consiglio d’Europa e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa).
Spiritosaggine
Si tratta in particolare di lord Frank Jadd, cittadino britannico ed ex ministro della marina militare di sua maestà la regina Elisabetta ii (a cui è affidato un mandato del Consiglio d’Europa), e Iorma Inki, diplomatico finlandese al servizio del governo portoghese e fino al primo gennaio capo della missione permanente di osservatori dell’Osce nella repubblica cecena, o come lui stesso amava definirsi, “un semplice nonno finlandese” in attesa della pensione.
Ecco un paio di ritratti dalla realtà cecena del 2002. L’estate scorsa. Il villaggio di Mesker-Jurt è assediato da tre settimane. Arrivano notizie spaventose: gli uomini, radunati nei campi di smistamento, vengono fatti saltare in aria dai soldati. Incontro il signor Inki a Grozny e lo supplico: “Fate qualcosa! Avete un mandato!”. Per tutta risposta borbotta confusamente qualche parola… sul fatto che vuole arrivare vivo alla pensione e che ormai manca poco.
Agosto 2002. A Shatoe, un centro abitato sulle montagne, alcune persone sono morte in scontri provocati dai servizi segreti federali. Le vittime sono numerose. Torno a supplicare il signor Inki a Grozny: “Fate qualcosa! Scrivete almeno una dichiarazione a vostro nome! L’avete visto tutti! Siete tutti testimoni! A voi l’Europa darà ascolto!”. Ma il signor Inki ricomincia con la storia che lui è “un semplice nonno finlandese” e che “presto arriverà la pensione”. Scherza, fa lo spiritoso.
Sono una giornalista che lavora spesso in Cecenia. Ebbene, quando in Cecenia arriva lord Jadd con l’ennesima ispezione per preparare l’ennesimo rapporto sulla situazione dei diritti umani – rapporto in cui sicuramente si dirà che la situazione va “gradualmente migliorando” – io, una giornalista, non riesco ad avvicinarlo. È circondato da un impenetrabile cordone di soldati, e lo vede benissimo, ed è perfettamente consapevole che serve a filtrare le informazioni. Ma non fa mai niente per spezzarlo (me l’ha detto lui stesso). Mai niente. Perché? Perché così lord Jadd è più tranquillo. Anche se il prezzo è che il massacro va avanti.
Il lord riparte, e i ceceni restano soli con il loro dolore, certi che nessuno – né la procura né le organizzazioni europee né l’Onu – li aiuterà a trovare gli assassini, i sequestratori e i carnefici dei loro cari; certi che dovranno farlo da soli, che la vendetta è l’unica strada possibile, perché la giustizia per loro non esiste. Quante volte ho dovuto ascoltare questi sfoghi durante la guerra!
Ma perché le cose vanno così? Perché l’Europa ha assegnato alla Cecenia dei rappresentanti a cui non importa assolutamente niente di niente? Perché si sprecano risorse enormi per mantenerli in Cecenia a spese dell’erario europeo? Perché gli hanno ordinato di tacere? Per tutte le domande difficili c’è sempre una risposta molto semplice. Per la situazione cecena è questa: il silenzio fa comodo. All’Osce e al Consiglio d’Europa.
Sipario
Ed è inutile nascondersi dietro le belle parole: in Cecenia sono stati traditi i mandati europei. Così ha ordinato il Cremlino, e l’Europa ha ubbidito docilmente, distruggendo tutti i valori che il nostro continente difendeva dalla fine della seconda guerra mondiale e che si sono sbriciolati scontrandosi con la tragedia chiamata seconda guerra cecena.
La conclusione è una soltanto: non credete ai discorsi pronunciati dalle grandi tribune sui diritti dell’uomo e sulla loro priorità assoluta. Siamo davanti a una nuova realtà internazionale in cui non esiste nulla di ciò che costituisce il fondamento delle costituzioni dei paesi civili, in cui l’Osce e il Consiglio d’Europa tollerano lo spargimento di sangue in una parte della stessa Europa. E se lo tollerano ne sono anche complici. Si sono resi conto di cosa è successo. E dopo essersene resi conto sono strisciati via.
L’Europa ha profanato se stessa. Prima limitandosi a osservare il massacro che si consumava in Cecenia. E ora rinunciando persino a questo, dopo aver dimostrato che non esiste più l’Europa che per tanto tempo abbiamo considerato il baluardo dei diritti dell’uomo e la speranza di tutti gli umiliati e gli oppressi. Fine. È calato il sipario.
Ma è veramente un vantaggio per l’Europa? Proviamo a pensare in grande, strategicamente e non in modo grettamente politico come ora ragionano Blair, Chirac, Schröder. È un vantaggio per gli europei costretti a vivere con la consapevolezza che un attentato terroristico come quello compiuto a Mosca nello scorso ottobre può ripetersi in qualsiasi posto e in qualsiasi momento, e non solo per mano dei palestinesi?
Pensateci europei. E dopo aver deciso, fatevi sentire. La Cecenia è stanca di aspettare.
Internazionale, numero 471, 16 gennaio 2003
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