Lo sgombero dei migranti al Baobab rispecchia lo stallo politico di Roma
“Stasera ho accompagnato un ragazzo somalo al pronto soccorso, è stato preso a bastonate mentre dormiva sotto a un ponte vicino alla stazione Tiburtina”, racconta Andrea Costa, uno dei volontari della Baobab experience, il centro autogestito per migranti transitanti sorto a via Cupa, a Roma, nel maggio del 2015 e sgomberato per la terza volta il 30 settembre di quest’anno. Costa non trattiene la rabbia: “Questo è uno dei primi effetti dello sgombero, al momento 150 persone dormono per strada a Roma. Così sono spinte nelle mani di trafficanti di esseri umani e di traffichini, senza nessuna forma di tutela, esposte a ogni tipo di violenza”.
Intanto, in meno di 48 ore sono state soccorse più di diecimila persone al largo della Libia. Cinquemilacinquantacinque solo il 3 ottobre, il numero più alto di migranti arrivati in un solo giorno in Italia nel 2016. Mentre a Lampedusa si celebrava la giornata della memoria per le vittime dell’immigrazione, ricordando il naufragio del 3 ottobre 2013 in cui morirono 366 persone, a Roma i volontari della Baobab experience denunciavano l’ultimo sgombero dell’insediamento informale per i transitanti che ha ospitato in poco più di un anno circa 53mila persone.
“Lo sgombero forzato è un fallimento dell’amministrazione capitolina che non ha saputo trovare alternative e soluzioni per garantire accoglienza alle decine di migranti in transito da Roma”, afferma Costa.
L’inverno è alle porte, ma quest’anno gli operatori non si aspettano un’interruzione degli arrivi via mare con la fine dell’estate, a causa della situazione di crescente instabilità in Libia. Le diecimila persone soccorse negli ultimi giorni al largo delle coste libiche saranno trasportate nei porti italiani, identificate negli hotspot, trasferite in un centro di accoglienza e poi, dopo qualche giorno, saranno lasciate libere di ricominciare il loro viaggio verso nord.
Siamo stufi di veder commemorare i morti da chi non fa nulla per i vivi
Qualcuno chiederà l’asilo in Italia, qualcuno si candiderà per partecipare al programma di ricollocamento dei richiedenti asilo in altri paesi dell’Unione europea, qualcuno ne sarà escluso, ma la maggior parte di loro riprenderà in autonomia il viaggio verso altri paesi, anche se i valichi di frontiera di Ventimiglia, di Chiasso e del Brennero sono ormai piuttosto difficili da attraversare.
Quasi tutte queste persone passeranno da Roma dove si fermeranno qualche giorno, ma al momento nella capitale non troveranno nessuna forma di accoglienza, saranno costrette a dormire per strada, intorno alla stazione, nei giardini pubblici perché le autorità hanno deciso di non occuparsi del problema. “Siamo stufi di veder commemorare i morti da chi non fa nulla per i vivi”, ha detto Andrea Costa della Baobab experience durante la conferenza stampa convocata il 3 ottobre per denunciare lo sgombero forzato della tendopoli di via Cupa. “Il Baobab era un punto di riferimento, garantiva anche il controllo del fenomeno, ora senza nessun orientamento i migranti che arrivano a Roma non sanno dove andare”.
Un déjà vu
Da mesi i volontari del Baobab denunciano l’immobilismo delle istituzioni di fronte alla situazione dei transitanti a Roma, tra le poche città interessate dal fenomeno a non essersi dotata di un campo profughi per i migranti in transito. L’ultimo capitolo del braccio di ferro tra volontari e istituzioni è andato in scena venerdì 30 settembre, alle 8.30 del mattino. In via Cupa, a due passi dalla stazione Tiburtina, sono arrivati due blindati della polizia e hanno sbarrato l’ingresso alla strada.
“All’inizio pensavamo che fosse il solito giro per le identificazioni, era successo altre volte, almeno ogni due settimane, che la polizia venisse in via Cupa per identificare i migranti, li caricava sui pullman, li portava in questura in via Patini, ma poi dopo qualche ora li rilasciava”, racconta Roberto Viviani, uno dei volontari della Baobab experience che venerdì scorso ha assistito allo sgombero.
Questa volta invece i poliziotti hanno fatto un cordone per chiudere la strada e dopo aver fatto salire 102 migranti sui pullman per portarli in questura ha cominciato a smantellare le strutture costruite dai volontari: tende, gazebo, dormitorio, cucina da campo. Tutte strutture donate da cittadini e associazioni. “Sono entrati nel dormitorio improvvisato al civico 5, poi hanno scavalcato al civico 1 e infine hanno intimato a tutti: volontari, giornalisti, passanti di uscire dalla strada. E a quel punto hanno cominciato a smantellare le tende con gli operatori dell’Ama”, racconta Viviani.
Lo sgombero del 30 settembre è stato il terzo per i volontari e i migranti di via Cupa
“Molti migranti avevano lasciato oggetti personali e perfino documenti nel dormitorio e nelle tende e non sappiamo bene che fine abbiano fatto”, conclude.
La questura ha giustificato lo sgombero in un comunicato parlando di degrado: “La verifica dei luoghi ha evidenziato una gravissima situazione di degrado che ha reso necessario richiedere l’intervento dei competenti uffici comunali per la bonifica e la pulizia dell’intera zona”.
Lo sgombero del 30 settembre è stato il terzo per i volontari e i migranti di via Cupa, il primo era avvenuto nel dicembre del 2015 con l’amministrazione del commissario Francesco Paolo Tronca, il secondo a giugno del 2016. “Il Baobab andava superato, noi l’abbiamo sempre detto, il punto è che non ci sono alternative per i migranti in transito. Venerdì sera i migranti che sono stati rilasciati dalla questura sono arrivati a via Cupa e l’hanno trovata sbarrata, allora si sono messi a dormire per strada, nelle aiuole davanti al Verano o alla stazione, in giacigli improvvisati, sotto la pioggia. Vi sembra un modo di gestire la città?”, chiede Roberto Viviani, uno dei volontari della Baobab experience.
L’associazione aveva denunciato il 14 settembre la paralisi politica delle istituzioni di fronte alla questione dei migranti, quando l’assessora ai servizi sociali Laura Baldassarre aveva annunciato che anche per quest’anno non sarebbe stata costruita una tendopoli temporanea, come invece era stato promesso durante un tavolo di dialogo sulla questione. In particolare i volontari accusano le istituzioni di essersi fatte influenzare da un comitato di quartiere, formato da persone vicine alla destra, che ha chiesto il ripristino del decoro in via Cupa. “Il comitato era formato da nove persone tra cui personaggi vicini all’estrema destra”, spiega Viviani, “che dopo lo sgombero ovviamente hanno cantato vittoria”.
Dopo lo sgombero i volontari del Baobab e le associazioni continuano a distribuire i pasti e l’assistenza medica e legale ai migranti che dormono per strada, ma la situazione è sempre più critica e i volontari si sentono sempre più soli. “Ci confermano che il 30 ottobre anche i 70 posti letto della Caritas non saranno più disponibili, la situazione è destinata a peggiorare. Sia il municipio sia il comune avevano promesso un infopoint alla stazione Tiburtina per dare informazioni ai migranti appena arrivati in città, ma niente. Non ne abbiamo saputo più niente”, spiega Andrea Costa.
Dopo lo sgombero, su Facebook l’assessora Laura Baldassarre ha annunciato che sono stati trovati i fondi per allestire un centro per transitanti a Roma, ma raggiunta al telefono non ha confermato il progetto.
La sindaca Virginia Raggi appena insediata al Campidoglio aveva detto: “Per strada i migranti non possono stare, non è una situazione dignitosa né tollerabile per loro”, promettendo una soluzione simile a quella di Milano. Ma cento giorni dopo l’inizio del suo mandato in città la situazione è fuori controllo.
Chi sono i transitanti di via Cupa
“È evidente che le questioni fondamentali che riguardano l’asilo, l’accoglienza, la tutela delle persone vulnerabili non sono una priorità di questa giunta e della sindaca Raggi”, hanno scritto in un comunicato le associazioni della Rete di supporto legale a via Cupa (A buon diritto, Consiglio italiano per i rifugiati, Radicali, Action diritti).
Ma chi sono i transitanti che passano da Roma? E quali sono i loro diritti? Negli ultimi cento giorni di attività la Rete di supporto legale di via Cupa ha raccolto dati e informazioni sulle persone in transito per tracciarne un profilo e comprenderne le esigenze.
Dal 15 giugno al 30 settembre del 2016 la Rete di consulenza legale ha assistito 400 migranti in transito nella capitale: il 74 per cento era costituito da cittadini eritrei, il 5 per cento da etiopi, il 14 per cento da sudanesi e il 6 per cento da somali. Il 50 per cento dei sudanesi era a rischio espulsione, anche a causa degli accordi di cooperazione firmati il 4 agosto dall’Italia con il Sudan in materia di immigrazione.
Il 97 per cento dei migranti intervistati ha dichiarato di volere andare nel Nordeuropa, dove il 34 per cento ha raccontato di avere dei familiari. Il 15 per cento delle persone era in viaggio con una parte della sua famiglia. Il 35 per cento dei migranti era costituito da donne.
Nel 28 per cento dei casi, in particolare per i cittadini provenienti dall’Etiopia, dalla Somalia e dal Sudan, non è stato possibile attivare la procedura di ricollocamento all’interno dell’Unione europea a causa dei criteri restrittivi e discriminatori di questo strumento, anche se si trattava di migranti che chiedevano la protezione internazionale. Giovanna Cavallo, una delle volontarie, durante la conferenza stampa ha precisato: “Vogliamo ricordare all’assessora Baldassarre che gli oromo, per esempio, fuggono dall’Etiopia perché sono perseguitati”. Tuttavia per loro non è prevista la possibilità di accedere ai programmi di ricollocamento a cui possono partecipare solo eritrei e siriani.
Secondo il rapporto delle associazioni, infine, quasi tutti i transitati passati da via Cupa sono stati identificati e fotosegnalati negli hotspot italiani, istituiti dall’agenda europea sull’immigrazione del maggio del 2015. Ma la maggior parte dei migranti non era informata sui suoi diritti e doveri e sui limiti imposti dal regolamento di Dublino per i richiedenti asilo.
A Roma violato il diritto di asilo
La situazione dell’accoglienza a Roma è aggravata dalla sospensione dell’accettazione delle domande di asilo fino al 21 ottobre, annunciata il 21 settembre dalla questura. Circa il 10 per cento dei transitanti intervistati dalla Rete di supporto legale ha denunciato di non essere riuscito a presentare la domanda d’asilo per più di tre settimane.
“Una volta giunti in via Patini è stata comunicata ai migranti la sospensione dell’accettazione delle richieste da parte degli uffici fino al 21 ottobre”, affermano gli attivisti della Rete di supporto legale. “La comunicazione viene data a voce, da agenti in divisa all’ingresso, alle persone che aspettano in fila dalle prime ore del mattino. La decisione, a quanto riferiscono gli agenti, è dovuta alla necessità di smaltire il pregresso già programmato”, spiegano le associazioni.
Questa scelta delle istituzioni viola le norme nazionali e internazionali in materia d’asilo e comporta inevitabili conseguenze per le decine di migranti che ogni giorno chiedono di regolarizzare la loro posizione. A loro non è offerta nessuna alternativa alla strada e all’irregolarità.