Se questo fosse un piccolo annuncio direbbe: “AAA, Accanitamente cercansi studenti talentuosi, valorosi, curiosi”. Troppa enfasi? Riprovo: “AAA adorerei trovare studenti avidi nuove esperienze. No perdigiorno”.
Piuttosto equivoco? Riprovo ancora: “AAA avete le palle? Venite a lezione, insegnamento 30231”. Ahi, questo è equivoco e sessista. Di
studenti “folli e affamati” ha già parlato qualcun altro. E forse è opportuno che mi spieghi meglio.
Magari, comincio col dire da dove nasce questa bizzarra fantasia. Anche se faccio un altro mestiere, ho insegnato in diverse università e la cosa continua a emozionarmi. Ho incontrato studenti di tutti i generi: tipi brillanti, bravi ragazzi, timidoni e vispe Terese, prestigiatori del bigliettino-nella-manica, veri geni, figlioli motivati, teppisti.
Uno, una volta, ha minacciato di tagliare le gomme dell’auto alla mia assistente. Ne sono successe di tutti i colori. Qualche esempio.
Roma. La Sapienza, sei di sera, aula sbarrata da un custode troppo ansioso di andarsene a casa. Un centinaio di studenti rimane fuori. Che si fa? Non c’è problema, scassiniamo: bastano una carta di credito e una mano abile (“Ehi, dove hai imparato a fare ‘sta roba?” “Prof, lei non li vede i gialli in tv?”). Risultato: si fa lezione proseguendo per mezz’ora oltre la fine. Poi, con un gruppetto più tenace, si continua al bar.
Torino, università degli Studi: salta il microfono, salta il proiettore, poi la luce. Insomma, salta tutto. Ok, posso continuare a far lezione sgolandomi, a patto che ci sia silenzio, perché l’aula è grande e affollata. Per l’ora successiva non vola – giuro – una mosca. Indimenticabile.
Ma, per esempio, mi è anche capitato (Milano, università Iulm) il marcantonio che arriva lemme lemme, casco della moto sotto il braccio, ben oltre metà lezione: “Io pago ed entro quando voglio”. Buttato fuori, come dire, manualmente.
Insomma, bello. Però negli ultimi tempi stanno succedendo cose meno interessanti. Sarà perché i ragazzi sono spenti e oppressi dell’incertezza del futuro. Sta di fatto che il picco emotivo dell’anno vien sempre fuori a proposito delle slide che uso a lezione, per star nei tempi e non perdere il filo.
Mi spiego: io sostengo che a) la vita vera non è accompagnata dalle slide di powerpoint b) prendere appunti è una competenza importante da sviluppare, e dunque c) non mollo le slide agli studenti. Che si prendano appunti e che si impari a farlo. Che si facciano domande, magari, o si guardino i materiali che spedisco. Anche perché in aula dico cose che non stanno né sul libro, né sulle slide.
Ma… ecco, giusto al termine dello scorso anno, finalmente mi si svela l’inghippo: le slide servono, confida finalmente uno studente più estroverso della media, “a capire quel che bisogna studiare sul libro per l’esame”. Cosacosacosa?
A parte il fatto che non funziona così. A parte il fatto che nessuna lista a punti articola un pensiero. A parte tutto questo, a me fa un po’ impressione quest’idea opportunista di imparare a macchinetta quel che presumibilmente potrei chiedere. Santa polenta, stiamo parlando di comunicazione, non è il catechismo.
E allora, insomma, quest’anno mi piacerebbe tornare ad avere studenti capaci di fare domande sorprendenti. Curiosi. Che abbiano, sul proprio futuro, un progetto un po’ più grande del passare un esame. Che, poiché stiamo parlando di comunicazione, interagiscano e si mettano in gioco. E che, magari, sappiano prendere appunti.
Ragazzi, se ci siete, fatevi vivi: all’università Bocconi, da settembre a dicembre, ogni giovedì pomeriggio parlo di comunicazione e dintorni. Se volete farvi un’idea dei dintorni, per tutto agosto Internazionale pubblicherà una serie di post intitolati “questioni di metodo”. Date un’occhiata, magari. E passate parola.
Internazionale mi ha formalmente autorizzata ad andarmene più o meno in vacanza. Assai grata, lascio in ostaggio le più sfiziose tra le questioni di metodo uscite su Nuovoeutile: le trovate qui per tutto agosto. Ehi, questo è un arrivederci a tutti, a settembre.
Annamaria
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