La marca di prodotti per l’igiene personale Dove è stata tra i primi a denunciarne gli eccessi, diversi anni fa, con un memorabile video intitolato Dove evolution.

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Di recente, la cantante ungherese Boggie ha ripreso il discorso guadagnandosi notorietà internazionale con un altro video, intitolato Noveau parfum.

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Sto, ovviamente, parlando di Photoshop. Le turbolente polemiche intercorse tra i due video non accennano a placarsi: da una parte c’è chi sottolinea i pericoli derivanti dall’instaurarsi di un [codice unico di bellezza][1], peraltro irraggiungibile nella vita vera. Dall’altra c’è chi sghignazza sugli errori: lo fanno in molti, [dal Guardian][2] [all’Huffington Post][3], e [perfino Vogue][4]. Se volete divertirvi vi basta cercare “Photoshop disaster” con Google.

Intanto, due parlamentari americane propongono un [Truth in advertising act][5] per limitare l’uso di Photoshop nella pubblicità: è improbabile che passi, dice il Washington Post, ma se non altro l’iniziativa ha alzato il livello di consapevolezza collettiva sull’esigenza di non diffondere immagini irrealistiche del corpo.

Eppure non si tratta solo di una (importante, controversa e difficile da affrontare in modo equilibrato) questione di corpi femminili e anche maschili manipolati (qui la meno nota versione maschile del video Dove, intitolata, appunto, Manipulation).

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Ci sono anche, per esempio, le immagini di cibo ritoccate per renderle più invitanti: così, la differenza tra la realtà di un piatto precucinato e la sua fotografia, nella pubblicità o sulle confezioni, non è minore di quella che intercorre tra me e Angelina Jolie (certo, apparteniamo entrambe al genere umano e al sesso femminile e siamo entrambe brune. Ma, a parte questo, abbiamo poco altro in comune, e nemmeno Brad Pitt).

E ci sono le immagini di turismo troppo (si fa per dire) belle per essere vere. È il caso della recente campagna Divina Toscana commissionata dalla regione: tramonti tropicali tra i cipressi e faraglioni innestati di fronte all’Argentario. La campagna (qui potete vedere tutte le immagini) è stata travolta da un’ondata di proteste prima ancora di uscire, e la regione l’ha dovuta annullare.

C’è poi, ancora sotto traccia, un fenomeno più recente che riguarda l’intero mondo dell’informazione: i grandi mass media internazionali usano sempre più spesso immagini (foto e video) prodotte da non professionisti che hanno la ventura di trovarsi sul posto mentre qualcosa sta succedendo.

Lo fanno per coprire avvenimenti accaduti in luoghi lontani o difficili da raggiungere, tipicamente il Medio e l’Estremo Oriente, o fatti improvvisi e imprevedibili: una tromba d’aria, un grosso incidente, una protesta o un attacco terroristico.

Con il diffondersi delle macchine fotografiche di alta qualità sui telefonini e dell’accesso ai social network come Facebook, oggi, per esempio, già succede che molte fra le migliori foto di breaking news (le notizie dell’ultima ora, o quelle da edizione straordinaria) siano scattate da privati cittadini.

L’attitudine a usare foto prodotte da “giornalisti accidentali” è stata, come affermano Claire Wardle e Sam Dubberley in una recente, interessante ricerca sulgli ugc (user generated content), definitivamente normalizzata nel corso del conflitto siriano.

Ma il ricorso crescente agli ugc apre una quantità di questioni. Come verificare l’autenticità della foto, e il fatto che sia davvero riferita all’evento dichiarato? Per esempio: la tromba d’aria è proprio quella di ieri nel Wisconsin o è quella di un anno fa in Alabama? Come accreditare l’autore? Come identificare gli ugc separandoli dal normale contenuto redazionale? E come essere certi che la foto non abbia fatto un passaggio di troppo su Photoshop?

Un nuovo sito, Izitru, si propone di risolvere almeno quest’ultimo quesito. Ne parla La Stampa, affermando che “è in grado di scovare un eventuale intervento manipolativo”. Ho fatto qualche prova casalinga.

Per esempio, ho inserito una foto pubblicitaria presa dal web (guardate i denti di questa splendida ragazza: vi sembrano al posto giusto?). Responso: potential file modification. Identico responso con una foto importata direttamente dal telefonino, ma ritoccata. High trust per una foto importata direttamente e non manipolata, e undetermined file history per la foto (non ritoccata) di una foto presa da un giornale. Insomma: risultati niente male.

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