Ho la sensazione che finora se ne sia parlato troppo poco e in maniera frammentaria. Eppure, l’ha segnalato anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: “Sistemi scolastici eccellenti appartengono a paesi che valorizzano l’istruzione e gli insegnanti”.

Un buon pretesto per tornare a parlarne è la recente assegnazione del primo Global teacher prize. Qui di seguito, in alcuni brevi paragrafi, metto insieme un po’ di fonti e provo a darvi conto delle finalità del premio, di alcune storie esemplari di insegnanti straordinari, dell’organizzazione e dei motivi che stanno all’origine dell’iniziativa (come mai c’è un imprenditore dell’istruzione privata globale? E di chi si tratta?) e, infine, dello status riconosciuto agli insegnanti nei diversi paesi.

Il Nobel della scuola. Il Global teacher prize è un premio annuale del valore di un milione di dollari che sono versati nel corso di dieci anni, a patto che l’insegnante vincitore continui a lavorare per almeno altri cinque anni dopo la vittoria. È rivolto “ai docenti innovativi e capaci di prendersi cura” dei loro allievi, preparandoli a essere “cittadini globali in un mondo nel quale saranno a contatto con persone di religioni, culture e nazionalità differenti”. Capaci, inoltre, di”offrire modelli originali di eccellenza per la professione dell’insegnante”.

Il premio, insomma, si propone di rendere visibili pratiche eccellenti e modelli di ruolo positivi, di valorizzare la figura dell’insegnante e, di conseguenza, di incentivare i ragazzi a scegliere la carriera dell’insegnamento. Sembra un approccio convincente.

Storie esemplari. Qui la cronaca della premiazione con un ritratto della vincitrice, la statunitense Nancie Atwell, che afferma:”Ho cambiato il modo di insegnare, ho fatto innovazione senza chiedere il permesso a nessuno”. I suoi allievi leggono 40 libri all’anno, scelti secondo il gusto e gli interessi personali.

Tra gli altri finalisti: la cambogiana Phalla Neang, inventrice di un metodo per insegnare ai ragazzi ciechi, l’afgano Azizullah Royesh, che promuove l’istruzione femminile e ha lottato con le sue studentesse contro lo stupro legalizzato, l’americano Stephen Ritz, che nel deserto di povertà del Bronx meridionale fa crescere orti e muri verdi. Dico davvero: guardatevi la sua Ted conference e scoprite che tipo è.

Due italiani tra i primi 50. In questo primo anno sono arrivate al premio più di cinquemila segnalazioni. Due gli italiani tra i cinquanta finalisti. Daniele Manni insegna da 28 anni informatica presso l’Istituto tecnico economico Costa, a Lecce. Da sempre destina il 50 per cento delle ore di lezione ad argomenti che non appaiono nei programmi ministeriali: innovazione, creatività, cambiamento. Aiuta i suoi studenti a creare nuove imprese nel turismo, nel settore agroalimentare, in campo informatico. Li incoraggia a occuparsi di temi sociali. Leggete questa intervista.

Daniela Boscolo insegna inglese in provincia di Rovigo, all’Istituto tecnico economico Colombo di Porto Viro. Fa l’insegnante di sostegno e ha escogitato metodi innovativi per lavorare con i ragazzi disabili. Nel 2010 ha vinto il premio italiano “miglior insegnante dell’anno”. Ha inventato il supermercato a scuola e un corso di cucina: “La didattica deve andare oltre le lezioni frontali”, dice. Leggete questa intervista.

Chi ha inventato il premio. Sunny Varkey, imprenditore e filantropo, nasce nel Kerala, in India, ma vive a Dubai, un posto stranissimo anche oggi: una quinta di neon e grattacieli in mezzo al nulla. Riesco a stento a immaginare come potesse essere negli anni settanta, appena dopo la scoperta del petrolio avvenuta nel 1966.

Dopo essersi trasferiti a Dubai, i genitori di Varkey insegnano inglese e nel giro di pochi anni aprono una scuola. Varkey comincia a occuparsene negli anni ottanta. In seguito crea una rete di scuole private nel mondo arabo. Poi apre scuole in Inghilterra, e poi in India, Kenya, Uganda, Egitto, Svizzera, Stati Uniti, Cina. Oggi, scrive The Huffington Post, Varkey ne gestisce 132 sparse in diversi paesi, con più di 142mila studenti provenienti da 151 paesi e più di undicimila insegnanti. Le scuole vanno dall’asilo al 12° grado di istruzione secondo la scala americana (a 17 anni, il termine della scuola secondaria, che negli Stati Uniti dura quattro anni).

Nel 2010 Varkey apre la sua fondazione filantropica, Gems foundation. Bill Clinton ne è presidente onorario. In rete si trovano poche interviste a Varkey: qui ce n’è una rilasciata a Gulf business nel 2013.

L’importante è arrivare. Lo scrive il New York Times: Varkey dice di non essere stato un alunno studioso, e non è laureato. Le sue scuole hanno costi diversi, ma vogliono offrire la medesima istruzione di qualità. La differenza sta nelle dimensioni delle classi, che per soluzioni più economiche superano i 30 allievi, e nella disponibilità di strutture accessorie. “È come sugli aerei”, dice Varkey “c’è la prima classe e c’è la classe economica”. Ma arrivi a destinazione comunque. L’approccio sembra interessare soprattutto i genitori immigrati delle classi medie che, specie nei paesi in via di sviluppo, non hanno molte alternative.

Rispetto per gli insegnanti. Può apparire curioso che sia proprio Varkey, un imprenditore dell’istruzione privata, ad avere così a cuore un tema di pubblico interesse com’è quello del rispetto e del riconoscimento del valore degli insegnanti. Eppure, a pensarci bene, la cosa ha un senso, sia sotto il profilo filantropico sia sotto quello imprenditoriale.

La Varkey foundation censisce lo status degli insegnanti in 21 paesi: in Italia siamo agli ultimi posti (diciottesimi su 21). Qui il rapporto completo. Qui, invece, un’infografica di sintesi.

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