Non per obbligo ma per scelta
La parola magica è “motivazione”. Si tratta dell’energia che fa muovere tutti noi verso un obiettivo. In altre parole: per svolgere qualsiasi attività bisogna attivarsi, no? E attivarsi vuol dire abbandonare uno stato di quiete avendo a disposizione l’energia (appunto: la motivazione) necessaria per agire.
È un’energia che noi stessi produciamo. Tutto comincia quando percepiamo un bisogno (un disagio da contrastare o un vantaggio da conquistare) e a patto che pensiamo di farcela. Se nemmeno percepiamo il disagio o il vantaggio, o se non crediamo che la nostra azione possa essere efficace, allora non saremo motivati a darci da fare.
Non sempre calcoliamo razionalmente il rapporto tra costi (tempo e fatica), rischio di fallire e benefici (trovarci in una condizione più appagante). Sono l’urgenza percepita del bisogno, e istinti, abitudini, credenze, valori, educazione, competenze, autostima e un sacco di altra roba cognitiva a influenzare e orientare le scelte e il comportamento di ciascuno di noi.
A muoverci con maggior forza sono le motivazioni intrinseche, cioè quelle che fanno capo a noi stessi
Inoltre: sappiamo che mente e cervello non sono esattamente la stessacosa, ma sappiamo che l’attività mentale ha basi biologiche. Diversi studirecenti dimostrano che la motivazione è connessa anche con i livelli di dopamina, un neurotrasmettitore che regola moltefunzioni cerebrali, tra cui il tono dell’umore e la percezione el’anticipazione del piacere.
Torniamo alla dimensione mentale. A muoverci con maggior forza sono comunque le motivazioni intrinseche, cioè quelle che fanno capo a noi stessi (sentirci bravi e capaci, soddisfare la nostra curiosità) più che le estrinseche, cioè quelle che fanno capo a fattori esterni (guadagnarci un premio di qualsiasi tipo o evitare punizioni).
La cosa curiosa è che l’aggiunta di una motivazione estrinseca (un premio) ad attività che amiamo, e per le quali siamo già intrinsecamente motivati, riduce la forza della motivazione: è l’overjustification effect.
Illuminare le azioni
È questa la ragione per cui facciamo sempre molta più fatica a fare le cose per obbligo che per scelta. A fare cose a cui attribuiamo poco valore, o che contrastano con la nostra gerarchia di valori. A fare cose per le quali ci sentiamo poco preparati o poco adatti. Facciamo più fatica perfino se ci pagano o se riceviamo un premio.
“È tutto nella vostra testa”, ci dice Forbes. Significa che, quando facciamo qualcosa, non è la cosa in sé, ma sono il modo in cui ci pensiamo e il tipo e la forza della motivazione che abbiamo prodotto a decidere se e come otterremo un risultato.
“La prossima volta che vi fa fatica allacciarvi le scarpe da ginnastica o sedervi alla tastiera del pianoforte, chiedetevi che cosa vi sta mancando”, ci suggerisce Scientific American. Spesso la risposta sta proprio in una di queste tre aree: sentirci obbligati, giudicare inutile o irrilevante quanto dovremmo fare, considerarci inadeguati.
In questi casi, Forbes suggerisce di lavorare anche sulla percezione che abbiamo del compito. Per esempio, possiamo cambiare un claustrofobico “devo farlo (mannaggia!)” in un più attraente “posso farlo (perché no?)” e, magari, in un “so farlo (evviva!)”.
Ed è proprio vero che le parole, in questo caso, sono importanti e che i verbi servili (dovere, potere, volere, sapere) che usiamo per specificare il modo in cui compiamo un’azione la illuminano in maniere sostanzialmente differenti, trasformandone la percezione e il senso.
Fare leva sulla motivazione intrinseca è un buon suggerimento anche per chi deve far sì che altre persone svolgano un compito: pensiamo a chi gestisce un gruppo di lavoro, o a un insegnante.
Segnalo che sul sito della Carnegie Mellon si trova una dettagliata e, mi sembra, assai convincente raccolta di strategie per motivare gli studenti, proprio a partire dalla loro percezione delle materie: difficoltà, rilevanza e valore di quanto viene insegnato, strategie di studio e così via. È piena di consigli utili e ne suggerisco un’attenta lettura a tutti gli interessati.