Da bambini chiediamo e domandiamo in continuazione. Crescendo, però, perdiamo non solo la fertile attitudine a domandare per sapere qualcosa, ma anche l’indispensabile capacità di chiedere per ottenere qualcosa, di materiale o di immateriale: amore, aiuto, attenzione, consigli, sostegno, un aumento di stipendio, un giorno di ferie, nuove opportunità, un libro in prestito, una mano per traslocare.
Spesso, e anche se non è per niente vero, i nostri bisogni ci appaiono così ovvi, espliciti e visibili che chiedere a qualcuno di aiutarci a soddisfarli ci sembra del tutto inutile: se quel qualcuno non si sta già attivando vuol dire che non vuole farlo, no?
In altri casi i nostri bisogni ci sembrano indizi di inadeguatezze che contraddicono la nostra autonomia di adulti, e mortificano la nostra identità sociale. Molto meglio non scoprirsi.
L’arte di chiedere
In termini di relazione, il fatto stesso di chiedere ci mette in una condizione di debolezza nei confronti dell’altro, a cui affidiamo una decisione, sì/no, che ci riguarda. Se l’altro dice di sì, la nostra condizione di debolezza sarà confermata (avremo un debito di gratitudine che prima o poi dovremo saldare). Anche questo sembra un ottimo motivo per non chiedere niente, mai.
Ma chiedere ci espone anche al rischio di ottenere un rifiuto le cui conseguenze, nella nostra percezione, si espandono dall’oggetto specifico della richiesta a noi stessi e al nostro valore come persone. Una ferita che preferiamo evitarci.
Chiedere non è facile, ma quando chiedi stabilisci un contatto con le persone. E loro ti aiutano
Così succede che, quanto più una richiesta per noi è importante, tanto più troviamo molti ottimi motivi per non renderla esplicita. In sostanza, facciamo così fatica a chiedere anche perché ci rispondiamo di no da soli, prima ancora di formularla, la richiesta.
L’arte di chiedere riguarda proprio queste due cose: il percepire la propria vulnerabilità, l’avere fiducia nel proprio valore e nella buona disposizione degli altri. Un esempio estremo, proprio per questo interessante, è offerto dalla musicista Amanda Palmer in una Ted conference di qualche anno fa. “Chiedere non è facile perché rende vulnerabili”, dice. “Ma quando chiedi stabilisci un contatto con le persone. E loro ti aiutano”.
La sua idea di addestramento a chiedere comprende alcuni anni di pratica restando immobile come una statua, tutta dipinta di bianco, in mezzo alla strada; una quantità di notti passate facendo couchsurfing (si tratta di ottenere ospitalità sul divano di qualcuno per dormirci); e più di un milione di euro per un nuovo album raccolti nel 2012 con Kickstarter: il maggior successo di crowdfunding della piattaforma fino ad allora.
Poco per volta
Sia la conferenza di Palmer sia il libro che ne è seguito sono stati oggetto di numerose controversie. Ho il sospetto che queste derivino anche dalla spudorata, imbarazzante energia con cui Palmer sostiene la sua tesi.
Suvvia, pensiamo, chiedere è poco dignitoso! Le persone beneducate non chiedono! E il vero uomo (lo suggeriva una discutibile, e tuttavia notissima, campagna pubblicitaria) “non deve chiedere mai”.
Del resto, ce lo cantano perfino i Rolling Stones: You can’t always get what you want (non puoi sempre ottenere ciò che vuoi).
Ma come potremmo fare, se mai decidessimo di provare a chiedere? Se da bambini chiedevamo strillando, da adulti ci conviene farlo ricorrendo ad altre strategie. Psychology Today dà nove suggerimenti di buonsenso. Possono funzionare, specie per chi non è Amanda Palmer. L’ultimo è il più importante di tutti.
In sostanza, si tratta di fare una singola richiesta alla volta, ragionevole e corredata da un’argomentazione strutturata, convincente e breve. Di chiedere con dignità e cortesia, e al momento giusto (cioè quando l’interlocutore ha la possibilità di prestare attenzione alla richiesta).
Si tratta anche di non manipolare l’interlocutore (potrebbe risentirsi) inanellando una catena di richieste sempre più onerose dopo aver ottenuto un primo assenso.
Si tratta, poi, di lasciare all’interlocutore la possibilità di dire no (può avere validi motivi per farlo) senza che questo pregiudichi la relazione. Infine si tratta di non ruminare sulle eventuali risposte negative. Meglio pensare che tutto potrebbe cambiare in circostanze più favorevoli.
Rispetto invece di arroganza
“La maggior parte delle persone non chiede, e questo fatto a volte separa le persone che riescono a fare qualcosa dalle persone che sognano soltanto di farlo: se hai paura di fallire non andrai molto lontano”, ha detto Steve Jobs, raccontando di una telefonata fatta a dodici anni, quando era ancora solo un ragazzino fiducioso, e convinto di meritarsi una dose di attenzione.
Chiedere è, appunto, un gesto di fiducia, di libertà e di coraggio. È un atto che necessita di discernimento: la differenza tra chiedere e pretendere (o esigere) è cruciale, e pretendere è il contrario del chiedere, così come uno schiaffo è il contrario di una carezza. Pretendere, presumendo che l’altro debba (e non possa voler) acconsentire, e farlo senza essere in una posizione di forza, è non solo inefficace ma anche sommamente stupido. Trasforma la possibilità di un sì nella certezza di un no.
Perfino chi è nella posizione di pretendere (vieni domattina alle sette! Metti subito in ordine la tua camera! Archivia questi documenti!) farebbe meglio, invece, a esercitarsi nell’arte più sottile e umana del chiedere. Comunicando, con questa scelta di tratto e di tono, rispetto anziché arroganza. E regalando all’interlocutore la gioia di rispondere con un sì sostanzialmente necessario, ma almeno formalmente libero, e più gratificante perché non rivolto al ruolo, ma alla persona.
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