È passato appena un anno e mezzo da quando, alla fine del 2016 e in concomitanza con l’elezione di Donald Trump, l’attenzione mondiale si è rivolta alle fake news: un fenomeno per il quale allora non esistevano studi approfonditi e nemmeno un vocabolario adeguato che potessero descriverlo.
In pochi mesi ci siamo familiarizzati con le bolle di filtraggio e le camere dell’eco. E il termine fake news si è talmente diffuso ed espanso da consumarsi, fino a perdere il suo senso proprio. Un buon contributo al processo di desemantizzazione è stato di recente offerto da Donald Trump medesimo, con la creazione propagandistica di un Fake news award, che ha etichettato e “premiato” come fake opinioni sgradite, pettegolezzi, semplici errori rapidamente corretti. Tutta roba che, insomma, non c’entra con le fake news.
È un gioco di specchi che è necessario analizzare e capire (qui il circostanziato commento di Vox), anche perché etichettare come fake qualsiasi informazione o dato che favorisca l’avversario sta diventando prassi corrente nel dibattito politico, e confonde ulteriormente i termini della questione.
Tutti noi, sempre, prendiamo decisioni in base a ciò che sentiamo e sappiamo
In pochi mesi, abbiamo anche visto Alphabet e Facebook, aziende che orientano il flusso mondiale dell’informazione in rete (e traggono il 90 per cento e più dei loro enormi guadagni dagli investimenti pubblicitari che ne derivano), passare dalla totale negazione del fenomeno delle fake news all’idea di doverci fare i conti. Cosa che, però, risulta assai meno facile di quanto potesse sembrare.
E ancora.
Il fatto che il tema della verità delle notizie non sia più percepito come “nuovo” potrebbe oggi indurci a sottovalutarlo e a trascurarlo (be’, basta, che noia, sono 18 mesi che ne parliamo, eccetera).
Si tratta, però, di un errore da non fare: tutti noi, sempre, prendiamo decisioni in base a ciò che sentiamo e sappiamo. E se abbiamo a disposizione una mole crescente di informazioni sbagliate, che veicolano emozioni inappropriate, prenderemo sempre più spesso decisioni sbagliate e inappropriate.
Per questo è davvero importante un recente studio svolto dal Massachusetts institute of technology (Mit) e pubblicato su Science, che per la prima volta analizza in modo estensivo i meccanismi di diffusione delle notizie false in rete. E identifica processi per nulla banali. Dico subito che lo studio preferisce usare, invece che fake news, i termini false news e true news (notizie false e notizie vere) riferendosi alla veridicità attestata o meno delle notizie prese in esame.
Aggiungo che questo sarebbe un buon motivo per impiegare il termine “notizie false”, nell’accezione di “notizie che non superano la verifica dei fatti” anche in italiano. È chiaro, semplice, incontrovertibile rispetto alle molte diciture correnti: fake news, bufale, notizie fasulle, notizie falsificate, eccetera.
Le notizie false attivano emozioni più potenti (prime tra tutte, paura e disgusto che, bisogna ricordarlo, politicamente orientano a destra)
Lo studio dell’Mit considera il periodo tra il 2006 e il 2017. Si basa su evidenze forti, è convincente e offre un dettagliato modello di diffusione delle notizie false, che può essere considerato valido per tutti i social media. Prende in esame in dettaglio i percorsi di diffusione di 126mila notizie twittate da circa tre milioni di persone oltre quattro milioni e mezzo di volte.
Distingue tra notizie vere e false in base a un controllo attuato con sei diverse organizzazioni di fact checking. Attesta che, in tutte le categorie di informazione, e con un’accentuazione riguardante l’informazione politica, le notizie false si diffondono sempre molto più rapidamente, più ampiamente, più profondamente (cioè, con catene di retweet lunghe il doppio, e dieci volte più veloci) delle vere.
Le bugie sono più potenti della verità. In estrema sintesi, sono queste “le fosche conclusioni del più grande studio mai fatto sulle notizie false”, titola l’Atlantic in un ampio commento.
Se le notizie false viaggiano meglio e più in fretta c’è un singolo, semplice motivo: sono gli esseri umani, non gli algoritmi, a incrementarne la diffusione. Questo succede perché le notizie false attivano emozioni più potenti (prime tra tutte, paura e disgusto che, bisogna ricordarlo, politicamente orientano a destra) e perché sono più “nuove”, quindi suscitano maggior curiosità e sorpresa.
Ma non solo: in quanto “nuove” sembrano più utili a capire il mondo e a prendere decisioni, più prestigiose da diffondere (ehi, vi dico qualcosa che nessuno vi ha mai detto!) e dunque dotate di maggior valore.
Le emozioni suscitate dalle notizie vere sono invece più blande: senso di attesa, tristezza, gioia, fiducia. Lettura e condivisione appaiono meno urgenti e imperative: una notizia vera ci mette sei volte il tempo di una notizia falsa per raggiungere mille persone, ammesso che ci riesca.
E ancora: una notizia falsa ha il 70 per cento di probabilità di essere ritwittata in più di una notizia vera, qualsiasi argomento riguardi (affari, guerra e terrorismo, scienza e tecnologia, spettacoli). Ma tra le notizie false, le più potenti sono le notizie false politiche: viaggiano al triplo della velocità di ogni altra notizia falsa, raggiungendo il doppio delle persone.
C’è un dato ancora più sconcertante. Si potrebbe pensare che chi diffonde notizie false sia più attivo in rete, sia più popolare e abbia più seguito, sia in rete da più tempo, ma è vero l’esatto contrario: sono mediamente gli utenti che diffondono notizie vere a essere in rete da più tempo e ad avere più follower. Le notizie false sembrano invece possedere un’energia propria, che prescinde dalle caratteristiche dell’utente che le mette in circolazione.
E si potrebbe pensare che ci sia un’enorme quantità di persone che mettono in rete le notizie false, ma non è così. A essere tante, sono le persone che diffondono notizie false. Che si spaventano, si sorprendono, si arrabbiano perché le credono vere e, dunque, meritevoli di essere condivise.
Tutto ciò fa capire alcune cose non banali. La prima è che contrastare le notizie false in rete non sarà facile: “Nessuno – né gli esperti né i politici né le tech companies – sa come invertire la tendenza, che sembra connaturata ai social media”, scrive l’Atlantic. La seconda è che a contrastare le notizie false non basta l’autorevolezza della fonte, né la sua popolarità. La terza cosa (e la più preoccupante) è che se il cocktail che garantisce il successo è fatto di novità, paura e disgusto, avremo sempre più nuove notizie paurose e disgustose in rete, e questo non gioverà certo agli umori collettivi.
Sullo stesso argomento:
Le notizie false hanno sempre la meglio su quelle vere
Raggiungono più persone e si diffondono più rapidamente su Twitter: le conclusioni di uno studio pubblicato su Science.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Abbonati per ricevere Internazionale
ogni settimana a casa tua.