Il neuroscienziato Christian Jarrett pubblica su Aeon un articolo brillante, la cui tesi di fondo è che la natura umana non è granché e che, per dirla tutta, tendenzialmente siamo (noi tutti!) proprio delle brutte persone.
Ho scritto tendenzialmente, e vorrei sottolinearlo. Vuol dire che non diamo il peggio di noi necessariamente, o ineluttabilmente. Vuol dire invece che per dare il meglio, o almeno il meno peggio, dobbiamo fare un piccolo sforzo.
Del resto, non c’è gusto né merito a comportarsi bene se si ignora quanto facile e istintivo sarebbe comportarsi male. E non c’è ammirazione verso chi si comporta da brava persona se non si è consapevoli di quanto siano forti le tendenze a essere egoisti, fatui, superficiali o insensibili.
La tesi di Jarrett si articola in dieci punti, ciascuno dei quali è sostenuto e confermato da consistenti evidenze di ricerca. Eccovi una sintesi. I link rimandano alle più rilevanti tra le fonti citate da Jarrett.
- Vediamo le minoranze, le persone vulnerabili e in generale le persone che più ci appaiono diverse da noi come meno umane di noi. Per esempio, culture diverse dalla nostra ci appaiono automaticamente meno evolute. I giovani tendono a deumanizzare i vecchi. Tutti tendono a deumanizzare le donne alcoliste (ma, attenzione, non gli uomini alcolisti). Tutto ciò alimenta l’aggressività, l’indifferenza e il pregiudizio.
- Già da piccoli, proviamo piacere per le sfortune altrui. Il termine tedesco che indica questa attitudine è Schadenfreude. Il piacere è accresciuto quando ci convinciamo che la disgrazia sia “meritata”. Questo comportamento è presente anche nel regno animale, per esempio tra gli scimpanzé.
- Tendiamo a incolpare gli individui del loro cattivo destino. Siano poveri, vittime di stupro o malati di aids, ci viene automatico pensare che, in un modo o nell’altro, la loro disgrazia se la siano andata a cercare. Questo ci aiuta a tutelare la nostra fiducia in un mondo “giusto”, in cui ogni effetto ha una sua causa. Per estensione, apprezziamo i ricchi pensando che il loro status sia meritato.
- Siamo ciechi e dogmatici. Ignoriamo ostinatamente i dati che contraddicono le nostre convinzioni pregresse, e qualsiasi evidenza contraria non fa che rafforzarci nelle nostre posizioni. Questo comportamento deriva in parte dal fatto che le nostre convinzioni sono connesse con il nostro senso di identità, e in parte dalla sicumera che ci rende troppo convinti di saperla più lunga degli altri.
- Preferiamo una scossa a un pensiero. Questa sì che è bella: un controverso studio del 2014 afferma che il 67 per cento dei maschi e il 25 per cento delle femmine partecipanti ha preferito subire una scossa elettrica piuttosto che passare da 6 a 15 minuti chiusi in una stanza con l’unica compagnia dei propri pensieri.
- Sovrastimiamo le nostre capacità. È l’effetto Dunning-Kruger: meno sappiamo e più presumiamo di sapere, meno valiamo e più presumiamo di valere. L’effetto si accentua fino a diventare del tutto irrazionale se riguarda le qualità morali e i princìpi: di fatto, tutti (e perfino chi si comporta in modo palesemente antisociale) pensiamo di essere più etici, gentili, onesti e affidabili della media delle persone.
- Siamo ipocriti, e applichiamo la logica dei due pesi e due misure. Siamo molto più sensibili alla disonestà o alla maleducazione altrui che alla nostra. Quando ci comportiamo male tendiamo a dare la colpa alle circostanze, ma quando un’altra persona si comporta nell’identico modo, incolpiamo lei e il suo pessimo carattere. Il fenomeno ha un nome: si chiama asimmetria attore-osservatore.
- Siamo tutti potenzialmente dei troll. I social network possono ingigantire alcuni dei peggiori aspetti della natura umana, e l’anonimato non aiuta. Questo non vale solo per chi abbia una propensione all’interscambio aggressivo. Sui social network l’aggressività è contagiosa – a dimostrarlo è una ricerca condotta su 16 milioni di post – e genera ulteriore aggressività anche in chi, di suo, non sarebbe aggressivo.
- Scegliamo i nostri leader per i motivi sbagliati. Scegliamo leader i cui atteggiamenti muscolari e le cui dichiarazioni incendiarie ci sembrano testimoniare il loro appartenere alla categoria dei “maschi alfa”, e non per quanto sanno essere efficaci. Nel mondo della finanza la leadership sembra correlata con la presenza di tratti psicopatici, con la tendenza ad agire d’impulso e con una bassa intelligenza emotiva.
- Troviamo più attraenti le dark lady e i tipacci. Le ricerche suggeriscono che, almeno nel breve periodo, risultano più attraenti gli individui la cui personalità comprende i tratti della cosiddetta triade oscura: un insieme di narcisismo, manipolazione e insensibilità. C’è ancora bisogno di approfondire ma, intanto, conviene starci attenti quando si va in cerca di fidanzati.
Un testo di un bel po’ di tempo fa ci conferma che comportamenti come questi (e parlo soprattutto dei primi sette punti), che possono apparire nuovi nella loro espressione, hanno radici antiche assai. Leggete.
Un cieco può forse pretendere di fare da guida a un altro cieco? Se lo facesse, cadrebbero tutti e due in una buca! Nessun discepolo è più grande del suo maestro; tutt’al più, se si lascia istruire bene, sarà come il suo maestro.
E tu perché stai a guardare la pagliuzza che è nell’occhio di un tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come osi dirgli: ‘Fratello, lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio’, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio, allora vedrai chiaramente e potrai togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello.
È il Vangelo secondo Luca, nella traduzione interconfessionale. Un testo così famoso che dovrebbe esser noto anche ai (diciamo così) non frequentanti.
Buon Natale e buon anno a tutti.
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