In un momento di crisi drammatica, diventa lampante il fatto che, per prendere buone decisioni, tutti (governi e cittadini) dovrebbero essere in grado di capire bene quello che sta succedendo. Dovrebbero inoltre saper capire ancor meglio quello che (anche in seguito alle decisioni prese oggi) può succedere in futuro.

In altre parole: le crisi mettono in massima evidenza l’adeguatezza o meno delle interpretazioni che diamo della realtà.

Proprio di tutto questo parla un articolo uscito di recente sull’Harvard Business Review, intitolato “Sul Covid-19 il mondo può imparare dagli errori dell’Italia”, il quale afferma che nel nostro paese si è verificata una “incapacità sistemica di recepire le informazioni disponibili e agire in modo rapido ed efficace”. E poi parla del “bias di conferma” che avrebbe afflitto i decisori italiani, rallentandone e frammentandone le reazioni.

Diciamolo subito: non è che altri paesi, pure avvantaggiati dall’avere a disposizione sia l’esempio cinese sia il più vicino esempio italiano, abbiano poi dimostrato di saper esprimere una “capacità sistemica” nettamente superiore, anzi. Ma non è certo il momento di stilare classifiche degli errori e dei lutti, e vi prego di notare che questo non è l’obiettivo dell’articolo che state leggendo.

Scorciatoie fatali
È il momento, invece, di provare a capire come si fa a capire meglio, e come si possono evitare gli errori di giudizio.

Di bias cognitivi ho parlato anche di recente su queste pagine. Riassumo in estrema sintesi: per elaborare in fretta enormi quantità di dati, interpretarli e prendere decisioni il più possibile adeguate noi seguiamo delle “scorciatoie mentali” chiamate euristiche. Cioè: semplifichiamo l’elaborazione dei dati procedendo a intuito, o sulla base delle nostre esperienze pregresse.

Queste scorciatoie di solito funzionano abbastanza bene. Ma, se invece di ragionare (anche sbrigativamente) partendo da dati di realtà, ragioniamo sulla base di pregiudizi o percezioni fallaci, allora le scorciatoie diventano vicoli ciechi, e le euristiche si traducono in bias cognitivi: interpretazioni ingannevoli di dati sballati.

In sostanza, potremmo dire che anche la nostra mente si conforma alla regola garbage in – garbage out che vale per i computer e l’intelligenza artificiale: se si comincia a ragionare male, il risultato finale è pessimo.

A questo proposito, c’è da dire che forse lo stesso articolo dell’HBR è lievemente afflitto da un bias che si chiama “senno di poi” (hindsight bias). Il quale consiste nella errata convinzione che individuare immediatamente gli indizi premonitori di quanto succede in seguito, separandoli facilmente da tutti gli altri dati, sia facilissimo. Ovviamente non è così, specie se parliamo di gestire una crisi pandemica tanto drammatica quanto inedita e rapida nei suoi sviluppi (qui il parere dell’analista politico Luigi Di Gregorio).

Ma torniamo ora al bias di conferma (confirmation bias) citato dall’HBR. Consiste nel prendere in considerazione esclusivamente i dati e i fatti che confermano e sostengono le opinioni, le ipotesi e (questo è rilevante) i desideri che si hanno, e nell’ostinarsi a trascurare ogni evidenza contrastante.

A dimostrarci la forza del bias resta, appunto, il fatto che molti altri governi, Stati Uniti compresi, abbiano continuato a sottostimare il rischio anche avendo a disposizione più tempo, e il dato ulteriore costituito dai drammatici sviluppi italiani.

Influenzare le scelte
Se però vogliamo cogliere l’opportuno invito dell’HBR a imparare dagli errori, ci sono altri bias che potremmo tenere presenti, e che possono influenzare sia le scelte dei decisori politici, sia quelle di tutti noi. Conoscerli può aiutare a contrastarli

Per esempio, anche il “bias dello status quo“ (status quo bias) può compromettere la capacità di giudizio. E ha probabilmente inciso su alcune decisioni.

Consiste nella tendenza a mantenere la condizione attuale, quale essa sia, sopravvalutando le possibilità di perdite connesse con un eventuale cambiamento e sottovalutando i vantaggi. Questo potrebbe aver rallentato i decisori nel prendere misure drastiche per prevenire la diffusione del covid-19 sui singoli territori. E può aver reso più difficile a tutti noi adottare tempestivamente comportamenti conformi e più prudenti.

C’è anche da ricordare il bias di omissione: in sostanza, ai decisori sembra preferibile (e più eticamente accettabile) sbagliare per non aver fatto niente che sbagliare per aver fatto qualcosa. Quindi, nell’incertezza, risulta più facile (e sembra più giusto) non fare piuttosto che fare.

L’influsso esercitato da questi due bias è trattato dalla psicologa Silvana Quadrino in un ampio articolo sul sito dell’osservatorio Omni.

The Conversation segnala anche i pericoli dell’overconfidence (il termine italiano corrispondente è sicumera). È una condizione in cui la sicurezza soggettiva che una persona nutre nei confronti delle proprie capacità di giudizio è maggiore dell’accuratezza oggettiva del giudizio medesimo. Se a essere affetto da overconfidence è un leader politico, tenderà a sottostimare i pareri degli esperti rispetto ai propri, e perfino messo di fronte a un’evidenza avversa sarà restio a modificare le sue opinioni. Immagino che qualche esempio recente vi verrà in mente.

Infine, il “bias dell’ottimismo” (optimism bias) ci porta a sottostimare sempre la probabilità che quanto facciamo abbia conseguenze negative, e ci fa credere che, se qualcosa di male deve succedere, non capiterà a noi. Così, tendiamo a sentirci invulnerabili, più capaci e più tosti degli altri. Tali Sharot spiega bene come funziona in un ottimo Ted talk.

Il bias dell’ottimismo ci coinvolge tutti, a prescindere dal genere, dall’età, dallo status, dal ruolo o dall’istruzione. Poiché ci fa sentire invulnerabili, capaci e tosti, ci aiuta a mitigare paure e angoscia e a vivere più serenamente la nostra vita.

In questo momento, però, ci potrebbe incoraggiare a prendere le cose alla leggera, con conseguenti comportamenti rischiosi.

Dunque: teniamoci la serenità, ma stiamo a casa, laviamoci le mani, facciamo ancora per un po’ un esercizio di pazienza. E prendiamo le decisioni giuste senza lasciarci fuorviare, nella speranza che anche chi governa diventi velocemente più capace di fare altrettanto.

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