Più flessibili, cioè più creativi
La flessibilità si è guadagnata in tempi recenti una cattiva fama, cresciuta quanto più le offerte di lavoro “flessibile” sono andate confondendosi con quelle di lavoro precario e non garantito. Così oggi “flessibilità”, nella mente di molti, evoca immediatamente il fenomeno deteriore e spesso odioso del precariato, e sembra qualcosa da evitare a ogni costo.
È un peccato: la flessibilità in sé, intesa come attitudine, proprietà o caratteristica che riguarda l’adattabilità a situazioni o condizioni diverse, non ha certo connotati negativi.
Una sorte analoga è capitata ancora prima alla creatività, e ai termini e alle pratiche correlate: si è parlato di “finanza creativa” per intendere finanza opaca e truffaldina, e di soluzioni “creative” per intendere soluzioni inefficaci, poco praticabili o del tutto campate per aria. Anche questa è un’interpretazione fuorviante.
Però, se non recuperiamo il senso più autentico e profondo dei due concetti, ci perdiamo qualcosa di importante e di utile, specie di questi tempi di cambiamenti non semplici. Dunque, vale la pena di provare a farlo. Tra l’altro, i due concetti sono strettamente correlati.
Inedito e utile
Ormai la comunità scientifica internazionale si è allineata su una definizione di creatività che incrocia due criteri fondamentali: per poter essere definito creativo, un ritrovato dev’essere nuovo, cioè inedito, e dev’essere appropriato e utile (cioè, la collettività deve potergli riconoscere qualche tipo di valore: o economico, o estetico, o etico).
La definizione può sembrare vaga e, nella misura in cui deve potersi applicare all’infinita gamma delle invenzioni, delle scoperte, delle produzioni e dei comportamenti possibili in qualsiasi campo, per molti versi lo è.
Ma, se non altro, ci aiuta a discriminare efficacemente ciò che di sicuro non è creativo perché già esiste e dunque non è nuovo (per esempio, l’invenzione di una pizza guarnita con pomodoro, mozzarella e basilico). Oppure perché non ha utilità né valore (per esempio, l’invenzione di una pizza guarnita con chiodi, lucido da scarpe e candeggina).
Saper ragionare in modo flessibile è una precondizione della creatività
Le nuove idee nascono nella mente delle singole persone: per questo la creatività è, e rimane, un fenomeno squisitamente psicologico e individuale. Ovviamente, lo sviluppo delle idee creative, e la loro traduzione in ritrovati innovativi, è invece di norma un fenomeno che coinvolge gruppi, o intere comunità.
Se osserviamo come funziona la mente delle persone che sanno praticare il pensiero creativo, eccoci all’intersezione fra creatività e flessibilità, intesa come attitudine psicologica e stile comportamentale: la flessibilità di pensiero gioca un ruolo centrale nell’abilità di generare idee nuove che è tipica delle persone molto creative. Permette di usare categorie mentali diverse e alternative per riorganizzare l’esperienza. Aiuta a superare gli schemi e a formulare ipotesi, interpretazioni e soluzioni originali, osservando fatti e problemi da prospettive differenti. La flessibilità comportamentale aiuta ad affrontare efficacemente i cambiamenti, e ad adattarvisi modificando i propri modi di agire.
Torniamo alla pizza alla candeggina: poiché a determinare il riconoscimento di un valore sono i contesti, di sicuro la proposta di quella pizza non ha alcun valore se siamo in pizzeria ed è ora di cena. Però potrebbe forse averne all’interno di una performance d’arte concettuale. O in uno sketch televisivo che prende in giro i cuochi e (rieccoci) la “cucina creativa”. E può aver valore perfino, in qualità di esempio, in questo articolo.
Giusto per concluderlo, l’esempio: saper ragionare in modo flessibile è una precondizione della creatività. E se il nostro problema fosse esattamente quello di riuscire a cavare del buono dall’invenzione di una pizza alla candeggina (cioè: se la scommessa fosse trasformare qualcosa che non è creativo in qualcosa che lo è) avremmo bisogno, appunto, di una grande flessibilità mentale per immaginare contesti plausibili (se ve ne vengono in mente altri, scriveteli nei commenti).
In tempi difficili
Dai, ora lasciamo perdere la pizza e parliamo di faccende più serie. Essere flessibili è un tratto di personalità, correlato con l’apertura al cambiamento. Con la capacità di esprimere le proprie potenzialità anche, e soprattutto, in situazioni fuori dalla norma. Con il benessere individuale e più in generale con il grado di soddisfazione per la propria vita.
Essere flessibili aiuta a immaginare alternative a una condizione non ottimale, o ad adattarsi più agevolmente e come meglio è possibile quando, di alternative, non ce ne sono proprio (volete un esempio recente? Pensate ai due mesi che tutti abbiamo dovuto passare restando chiusi in casa).
Essere flessibili aiuta anche ad affrontare meglio e più efficacemente le crisi, senza lasciarsi travolgere dall’ansia o dalla rabbia, e senza sentirsi sovrastati dallo stress.
In realtà, tutti sappiamo essere, almeno un po’, flessibili (e, dunque, almeno un po’, creativi) quando affrontiamo quotidianamente i cambiamenti dell’ultimo minuto e riusciamo a ristrutturare la nostra giornata e le nostre attività.
O quando, magari all’improvviso, sappiamo trovare un modo alternativo, e più semplice, per fare qualcosa che abbiamo sempre fatto: un nuovo percorso. Una nuova procedura. Un nuovo modo per organizzarci.
Siamo flessibili quando riusciamo a trasferire da un campo a un altro una pratica che si è rivelata fruttuosa. A questo proposito, ecco il mio esempio favorito: i medici di terapia intensiva del Great Ormond street hospital for children, un noto ospedale pediatrico londinese, hanno il problema di ottimizzare le complesse procedure di indirizzamento dei piccoli pazienti al reparto di terapia intensiva.
È un complicato sistema di azioni che devono essere eseguite bene, in fretta, da molte persone insieme. Per ottimizzarle, e dimostrando una notevole flessibilità di pensiero, i medici chiedono aiuto ai tecnici del pit stop della Ferrari. Il know-how Ferrari viene così trasferito dai circuiti di Formula 1 alle corsie. Il risultato è un protocollo più efficace, oggi adottato in molti altri ospedali.
Il dono della flessibilità non è esclusivo di noi esseri umani. Hanno comportamenti flessibili le scimmie cappuccine e anche i topi (non a caso una delle specie di maggior successo sul pianeta). In un recente esperimento, un gruppo di scienziati ha insegnato ai topi come guidare piccole auto per procurarsi del cibo.
Diciamolo: guidare non è esattamente un comportamento da topi. Eppure, questi ce l’hanno fatta. La cosa interessante è che i topi medesimi, dopo aver appreso le basi della guida, hanno ridotto i propri livelli di stress. E hanno accettato facilmente nuovi compiti più impegnativi.
L’altra cosa interessante è che i topi cresciuti in ambienti più ricchi di stimoli hanno imparato prima a guidare, e meglio.
Ho il fondato sospetto che questo funzioni anche con gli esseri umani: più siamo esposti a nuove sfide e a nuovi stimoli (o più sappiamo considerare come uno stimolo e una sfida i cambiamenti che ci coinvolgono), più diventiamo flessibili, più sappiamo essere creativi, meglio riusciamo a gestire gli eventi, più risorse abbiamo per provare a migliorare le cose.