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L’insostenibile peso dell’antropocene

Jakarta, Indonesia, 27 marzo 2020. (Galih Pradipta, Antara Foto/Reuters/Contrasto)

“Oggi il peso dei manufatti umani supera il peso dell’intera biomassa”, cioè, il peso di tutti gli organismi viventi sulla Terra.

Così titola un recentissimo articolo uscito su Scientific American. È riferito a uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori dell’israeliano Weizmann institute of science, e pubblicato su Nature.

Scrivono i ricercatori: “Dati i limiti della cognizione umana di fronte all’immensità del globo e all’apparente infinitezza del mondo naturale, è desiderabile proporre una misura rigorosa e oggettiva dell’equilibrio complessivo tra ciò che è vivente e ciò che è artificiale (human made).Tuttavia, nonostante alcuni sforzi pionieristici, ci manca un’immagine olistica”.

Ed ecco il perché dello studio.

Le evidenze emerse sono degne di nota.

Madre natura non ringrazia
Di fatto, oggi il peso complessivo delle nostre case e delle nostre città, degli elettrodomestici e delle automobili, delle autostrade e degli aeroporti, degli ipermercati, delle fabbriche, delle navi, e degli attrezzi che abbiamo spedito nello spazio, è maggiore del peso della biomassa, cioè di tutti gli animali, le piante, gli insetti e i microrganismi del mondo.

Vuol dire, insomma, che in questo momento abbiamo superato madre natura nel produrre roba. Sono 1.100 miliardi di tonnellate.

Un dettaglio tecnico non irrilevante: i ricercatori hanno calcolato il peso della biomassa “a secco”, cioè sottraendo l’acqua. Se vogliamo considerare anche la componente acquosa, che però è un attributo dei viventi e non delle autostrade, delle città, degli elettrodomestici eccetera (e che quindi distorce il paragone), la biomassa arriva a pesare 2.200 miliardi di tonnellate.

Già adesso (al netto dell’acqua) le città pesano più delle foreste e la plastica pesa il doppio degli animali terrestri e marini

Le cose, comunque, non cambiano di molto. Considerando anche la componente acquosa della biomassa, il peso delle produzioni umane arriverà a eguagliarla nel 2037.

Ma il momento del pareggio si anticipa fino al 2031 se nelle produzioni umane comprendiamo anche quella che oggi consideriamo spazzatura. Del resto, è roba che abbiamo prodotto noi, e che abbiamo sparso dappertutto: negli oceani, in cima al monte Everest, nello spazio (milioni di rottami in orbita, secondo la Nasa), nei paesi meno industrializzati (spesso si tratta di rifiuti tossici), e nei deserti.

Tutto ciò vuol dire che già adesso (al netto dell’acqua) le città pesano più delle foreste. Vuol dire che la plastica (otto miliardi di tonnellate) pesa il doppio degli animali terrestri e marini (quattro miliardi di tonnellate).

Già che ci siamo, vale la pena di ricordare che ci sono 500 volte più microplastiche nel mare che stelle nella Via Lattea. Che le creature marine le mangiano, e che noi ce le ritroviamo nel piatto. E che microplastiche sono state di recente trovate nella placenta umana.

Accelerazione vorticosa
Negli ultimi 120 anni, ricorda Scientific American, il processo di produzione ha subìto un’accelerazione vorticosa. “Agli inizi del novecento la massa di manufatti umani era solo il 3 per cento della biomassa”. Da allora, la produzione umana è raddoppiata ogni vent’anni.

A partire dalla prima rivoluzione agricola, dodicimila anni fa, il peso della biomassa vegetale è invece progressivamente decresciuto, e oggi tra agricoltura intensiva, incendi, deforestazione e desertificazione appare dimezzato: da duemila miliardi di tonnellate a poco più di mille miliardi.

Le piante comunque pesano per il 90 per cento della biomassa. Seguono, nell’ordine, batteri, funghi, alghe e altra roba vivente semplice e piccina, e infine animali, noi compresi.

A proposito di animali: lo stesso Weizmann institute, sotto la guida di Ron Milo, già nel 2018 segnalava con una ricerca pubblicata su Pnas che il peso dei mammiferi che alleviamo per nutrircene (soprattutto mucche e maiali) vale il 60 per cento del peso dei mammiferi nel mondo. Un 36 per cento del peso dei mammiferi è costituito dagli esseri umani. Solo il 4 per cento da mammiferi selvatici. Il peso dei polli d’allevamento vale il 70 per cento del peso totale dei volatili del pianeta.

Oggi produciamo circa 30 miliardi di tonnellate di roba all’anno. Se andiamo avanti così, entro il 2040 arriveremo a superare i tremila miliardi di tonnellate di roba prodotta.

Ma ciò che produce madre natura, compresi i nostri corpi, è biodegradabile. Invece quello che produciamo noi per riscaldare, trasportare, coprire, proteggere, abbellire, curare i nostri corpi, e per munirli di tutti i comfort e gli accessori che ci appaiono irrinunciabili, può biodegradarsi con maggiore difficoltà (una lattina di alluminio, un sacchetto di patatine, un telefono cellulare possono impiegare più di un milione di anni). Il cemento, il materiale più usato sulla terra dopo l’acqua, ha un impatto ambientale complesso e pesante (leggete questo articolo del Guardian).

L’altro problema è che per produrla, trasportarla, immagazzinarla, distribuirla, gestirla e usarla (e poi, in molti casi, disfarcene) consumiamo energia, alimentando il riscaldamento globale e peggiorando l’emergenza climatica.

Certo, ci sarebbero le tre R dello sviluppo sostenibile: riduci, riusa, ricicla. Alle quali, contrastando la propensione a cementificare, se ne potrebbe aggiungere un altro paio: restaura e rigenera.

Ma non so se e quanto una visione alternativa e virtuosa può servire, oggi, a ridurre la coazione a produrre roba, sempre più roba. Come se, appunto, non ci fosse un domani.

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