“Terna, un nome che evoca vincite milionarie al gioco del lotto”, scrive Enel nelle pubblicità che cercano di rifilare agli italiani le azioni della sua rete elettrica. Ci risiamo: bastano poche parole di un pubblicitario per coprire di ridicolo anche i prodotti migliori delle aziende più serie.
La rete elettrica nazionale, per esempio: certo non può chiudere domani e trasferirsi in Romania. Ma basta per farne una cosa seria? Perché ripararsi dietro la figura del povero Alessandro Volta che torreggia nelle pubblicità di Terna?
Dovremmo invece concentrarci su figure ben più importanti. Per esempio quella dell’amministratore Enel Paolo Scaroni, un manager esemplare, con referenze solide. Imputato per una tangente da centinaia di milioni al Psi perché intercedesse su un appalto dell’Enel, patteggiò nel 1992 un anno e quattro mesi. Be’, un anno e quattro mesi è un po’ poco – gli avranno detto gli uomini di questo governo. Noi con Dell’Utri, Previti o Paolo Berlusconi abbiamo altri standard. Comunque con un curriculum così anche lei è dei nostri, venga. E lo misero a capo di Enel.
Invece che a Volta, dovremmo guardare ad Andrea Bollino, il gestore della rete che poche settimane prima del blackout del 28 settembre assicurò: da noi un blackout è impossibile. Insomma, prima di impiccarsi ai tralicci dell’Enel il risparmiatore dovrebbe guardare le referenze della gente a cui affida i soldi. Specialmente quando hanno la faccia tosta di evocare “vincite milionarie al gioco del lotto”.
Se Enel è meglio del lotto, perché appena i suoi manager si comprano le azioni Enel con le stock option le rivendono subito, come hanno fatto l’amministratore Scaroni e molti altri? Non viene puzza di bruciato dai quei fili elettrici milionari? Il premio Nobel Joseph Stiglitz considera il sistema delle stock option un furto legalizzato a danno degli azionisti. Nel suo ultimo libro dedica un intero capitolo alla destrezza con cui i manager delle aziende elettriche private hanno rapinato i loro azionisti e la collettività. Insomma con il lotto ad alta tensione è facile prendere la scossa. Oppure restare al buio.
Da quando ci si mettono i privati, il business della luce è diventato una faccenda oscura. Così ho intitolato il mio spettacolo
Blackout e ci ho fatto 130 serate. In una platea buia portavo un candelabro acceso e sul palco un abete del Lucomagno. Era tutta colpa sua se il 28 settembre si era verificato il più grande blackout del dopoguerra. In una notte di tempesta il povero abete – certo una varietà extracomunitaria, perché un vero abete svizzero non si sarebbe mai permesso – aveva sfiorato le linee elettriche svizzere e… patatrac, via l’elettricità in tutta Italia. La natura è imprevedibile.
Di fronte ai terremoti, ai fulmini e agli scatti degli abeti alpini l’uomo tecnologico è impotente. Poco convinto, ho cercato di far luce. Ho scoperto che compriamo l’elettricità all’estero non perché non ci bastino le nostre centrali, ma perché costa meno. La notte del blackout stavamo consumando pochissima corrente, ma anche quella poca la volevamo comprare all’estero, tenendo inattivi due terzi delle nostre centrali. Perfino i nostri già pochi e nuovissimi generatori eolici erano fuori servizio. Altro che “Forza Italia”!
Per capirci qualcosa occorre fare un passo indietro e guardare con una prospettiva storica e globale. Da una parte, quasi metà dell’umanità aspetta ancora l’elettrificazione; dall’altra, un quarto dell’umanità produce troppa corrente, ne spreca più della metà e usa le fonti peggiori perché dannose, pericolose ed esauribili (carbone, petrolio, gas minerale, uranio). In mancanza di meglio, gli altri tre quarti dell’umanità cominciano a copiarci.
Quindi cosa dovrebbe fare un paese industriale oggi? Ridurre drasticamente i consumi e gli sprechi, investendo molto in due direzioni: l’efficienza energetica (più servizi con meno sprechi e consumi) e altre fonti energetiche (meno fonti esauribili e più rinnovabili). È questo il modello che potrebbero copiare cinque miliardi di persone, non quello dei paesi industriali degli anni sessanta!
Con il progetto Società 2000 watt, i Politecnici e il governo svizzeri vogliono ridurre del 60 per cento il consumo di energia primaria: da 6.000 watt per persona al giorno, a 2.000 watt entro il 2050 – l’equivalente del consumo degli anni sessanta (novatlantis.ch). La regola dei 2.000 watt dovrebbe diventare uno standard internazionale, dicono i Politecnici svizzeri. Invece di aumentare la produzione di energia, occorre produrre più benessere con minori consumi.
Proprio il contrario di ciò che vuol fare il nostro governo, che invece vuole aumentare consumi, centrali e produzione del business elettrico. Siamo uno dei paesi più soleggiati d’Europa, potremmo vendere energia solare agli altri. Invece tutti i leader delle energie rinnovabili sono a nord dell’Italia. In compenso ci aspetta un radioso futuro da minatori.
Malgrado importanti progressi tecnologici, il carbone è ancora il combustibile più inquinante e più generatore di effetto serra. Ovunque si cerca di ridurne l’uso. Scaroni invece insiste che l’Italia deve raddoppiare la quota di carbone. Viste queste prospettive, sto cercando di iscrivere mio figlio a un master per spazzacamini. Ho telefonato alla Bocconi ma non ce l’hanno. Per ora.
Questo testo è tratto dallo spettacolo Blackout.
Internazionale, numero 545, 25 giugno 2004
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