La propaganda commerciale non ha nessuna legittimità per invadere gli spazi pubblici. Uno dei primi a dirlo è stato Howard Gossage, geniale pubblicitario di successo di San Francisco, considerato uno dei maestri della propaganda commerciale statunitense (How to look at billboards). Creava campagne pubblicitarie per i giornali, ma riteneva illegittimo il loro straripamento negli spazi pubblici.

Trent’anni dopo la morte di Gossage, il sindaco di São Paulo, il liberale Gilberto Kassab, lo ha preso alla lettera. Dal primo gennaio 2007 nella metropoli brasiliana è vietata la grande propaganda commerciale negli spazi pubblici. Il programma Cidade limpa (Città pulita), approvato dal consiglio comunale con 38 voti contro cinque e dall’associazione brasiliana degli architetti Asbea, prevede tolleranza zero contro l’inquinamento visuale da pubblicità. L’hanno fatta sparire dai muri, dai cartelloni, dagli autobus.

La molla che ha fatto scattare il provvedimento è stata l’overdose: São Paulo si era riempita di pubblicità selvaggia oltre il limite di sopportazione. Allora c’è speranza anche per l’Italia, ho pensato. Alla stazione centrale di Milano siamo arrivati a un’overdose che potrebbe scatenare una reazione immunitaria.

“La vogliono montare tutti”, dice lo slogan sotto la foto di una biondona in tanga e con un sedere enorme, ripresa di spalle, in piedi, china alla guida di un triciclo da spiaggia.

È la reclame di una marmitta, da montare su motociclette e tricicli. “Kiss kiss me baby” dice una specie di spogliarellista seminuda con le gambe spalancate come dal ginecologo e l’intimità coperta da un apparecchio radio. È la pubblicità di Radio kiss kiss. I due manifesti si potevano vedere alla stazione di Milano in una mostra delle reclame bocciate dal giurì della pubblicità.

Perché il giurì interviene solo sulla qualità e non sulla quantità della propaganda commerciale? Perché il giurì e il sindaco permettono lo scempio pubblicitario dell’intera stazione? Da qualche mese ogni viaggiatore che sbarca da un treno viene aggredito dagli spot a tutto volume vomitati da alcune centinaia di enormi televisori piazzati su tutti i binari.

L’ammiccamento sessuale è più soffice che nei manifesti bocciati, ma invade tutta la stazione. Una giovane donna in jeans bianchi attillati racconta al viaggiatore quanto apprezzi un salvaslip, mentre il fidanzato e la telecamera la guardano salire su una scaletta per mettere i libri su uno scaffale.

In un altro spot una biondina amoreggia in pochi secondi con quattro giovanotti e strizza l’occhio al viaggiatore mentre compaiono un telefonino e la scritta “Inverter technology - Life is good – Lg”. In un altro le solite massaie strillano nelle orecchie del viaggiatore i loro complimenti a un detersivo. Molti spot propagandano prodotti Lg, la stessa ditta che produce le centinaia di televisori che hanno invaso la stazione.

Purtroppo, l’unica reazione possibile di chi si sente aggredito da Lg è quella di non comprare i prodotti Lg, una scelta utile ma insufficiente. Le reclame infatti ingombrano sempre più superfici. Migliaia di metri quadri di gigantografie sono incollate sui muri fin sotto le volte di ogni edificio, stravolgendo le forme e i colori concepiti dagli architetti.

Centinaia di pannelli pendono dai soffitti e a volte impediscono di vedere informazioni utili al viaggiatore. Decine di cubi e diedri alti e larghi alcuni metri e tappezzati di pubblicità ingombrano gli spazi già sovraffollati che i viaggiatori devono attraversare per raggiungere i treni.

Il leggendario ex direttore delle ferrovie svizzere e presidente dell’associazione internazionale delle ferrovie Benedikt Weibel ha detto che in alcuni paesi le stazioni somigliano sempre più a un supermercato e che a volte i binari bisogna cercarli.

“Noi invece”, dice Weibel, “abbiamo preferito mantenere il carattere di spazio pubblico delle nostre stazioni”. Purtroppo il governo italiano ha fatto il contrario di quello svizzero. I contribuenti italiani che hanno finanziato per decenni la costruzione delle grandi stazioni sono stati espropriati e le stazioni sono state in parte svendute ai privati.

Il loro scempio pubblicitario è opera di nomi inquietanti come Caltagirone, Benetton, Pirelli. Poteva mancare in questa porcheria il tronchetto dell’infelicità? Sono loro i coproprietari di Eurostazioni spa e di Grandi stazioni pubblicità srl.

Considerano i viaggiatori non cittadini da servire, ma un “asset pubblicitario” da valorizzare. È gente che si è arricchita con la speculazione edilizia, l’abbigliamento, i pneumatici e la telefonia. Ma è incapace di realizzare un servizio pubblico rispettoso dei cittadini, come fanno le ferrovie in Austria, Germania o Svizzera.

Per loro il viaggiatore non è un utente con dei diritti, ma è degradato a cliente da spremere e a target dei pubblicitari: un pollo da spennare, impotente di fronte a un monopolio. Speculano perfino sui bisogni elementari: le fontanelle dell’acqua pubblica scompaiono e perfino per fare pipì devi pagare Caltagirone, Benetton e Pirelli.

È ora di ribaltare la nuova indecente funzione delle grandi stazioni: le stazioni devono tornare a essere al servizio dei cittadini e non i cittadini al servizio dei padroni delle stazioni.

Questo testo è tratto dallo spettacolo Reset.

Internazionale, numero 697, 15 giugno 2007

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