Il movimento non durerà. Nel giro di tre, otto o trenta giorni assisteremo all’esaurimento della sua forza propulsiva, per diverse ragioni. Innanzitutto non esiste un’opposizione abbastanza unita, forte e strutturata da raccogliere il testimone dagli islamo-conservatori, al potere dal 2002. In secondo luogo il primo ministro Recep Erdoğan, bersaglio dell’ostilità dei manifestanti a causa del suo autoritarismo, gode ancora di una grande popolarità grazie ai buoni risultati economici. Infine il rallentamento prolungato dell’attività spingerà l’opinione pubblica a voltare le spalle a questo ‘68 alla turca che per il momento continua a sostenere.

Questo immenso movimento – formato da decine di migliaia di persone così diverse tra loro ma unite dallo stesso entusiasmo nelle strade di Istanbul, Ankara e altre città turche – rappresenta solo un episodio, ma non bisogna lasciarsi ingannare. Come già accaduto negli anni sessanta in cinque continenti, la protesta ha segnato un importante punto di svolta, e lentamente finirà col cambiare la Turchia, il mondo musulmano e l’Europa.

In Turchia i manifestanti parlano a nome di un’intera generazione. I tifosi delle grandi squadre di calcio fraternizzano tra loro e con la borghesia liberale, la sinistra, le femministe e persino i sostenitori della causa omosessuale, e questo significa che i giovani, entrati nell’età adulta durante il dominio degli islamo-conservatori e completamente estranei all’epoca dei colpi di stato militari, sono talmente in confidenza con la democrazia, le libertà e la tolleranza che caratterizzano la modernità europea. Non possono più accettare il puritanesimo, il tradizionalismo e l’ordine morale difesi dall’Akp, il partito al potere. La società turca è cambiata, e in futuro cercherà nuove forze politiche a sinistra o al centro, lontane sia dai militari e dalla loro difesa violenta della laicità sia dalla grande formazione conservatrice e clericale costituita dagli islamisti.

Piazza Taksim sta modellando il nuovo scacchiere politico turco. Certo, ci vorrà del tempo, ma alla fine l’Akp sarà costretto a virare verso il centro (come sperano molti suoi funzionari) o a dividersi in una destra tradizionalista e una modernista, due realtà che per il momento convivono nel partito ma si sopportano sempre meno. Il modello turco basato sulla conversione degli islamisti verso la democrazia e la laicità si sta sfaldando davanti ai nostri occhi. La trasformazione di una forza religiosa in un partito repubblicano e conservatore, enormemente vantaggiosa per la stabilità e la crescita della Turchia, ha raggiunto i suoi limiti, anche perché in Turchia come nel resto d’Europa esistono ormai due destre (in senso economico e politico), quella reazionaria e quella liberale.

Contestato dal movimento generazionale, l’Akp dovrà fare una scelta che avrà importanti conseguenze anche al di fuori dei confini nazionali. Gli islamisti egiziani e tunisini, che si sono ispirati al modello turco per vincere le elezioni, saranno costretti a compiere una seconda evoluzione prima ancora di aver terminato la prima. Le manifestazioni di Istanbul ispireranno i giovani sull’altra sponda del Mediterraneo, e nel frattempo l’Europa scoprirà che quella Turchia che continua a tenere fuori dall’Unione in realtà le somiglia molto più di quanto creda.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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