Senza tanti giri di parole, cominciamo col dire che è tutto falso. Contrariamente a quanto ha dichiarato il presidente ruandese (con toni piuttosto aggressivi), la Francia non ha affatto avuto un “ruolo diretto” nella preparazione del genocidio dei tutsi, non ha “partecipato alla sua esecuzione” e i suoi soldati non sono stati “complici” o addirittura “attori” delle stragi.

Sostenere che il governo di coalizione in carica all’epoca e tutto il mondo politico francese abbiano concepito e favorito l’omicidio a colpi di machete di 800mila persone (tra cui donne e bambini) è inverosimile. Ma allora perché Paul Kagame ha lanciato queste accuse, proprio alla vigilia della cerimonia del 7 aprile per il ventennale del genocidio?

Innanzitutto bisogna tenere presente che Kagame è animato da un profondo rancore nei confronti della Francia. Negli anni precedenti al genocidio, infatti, Parigi ha effettivamente sostenuto il governo legato alla maggioranza hutu, la cui ala più estremista ha poi organizzato il genocidio dei tutsi.

Il conflitto affonda le sue radici nei decenni che hanno preceduto l’indipendenza del paese, colonizzato dai belgi che avevano preferito appoggiarsi alla minoranza tutsi, costituita da pastori considerati più evoluti e nobili rispetto agli agricoltori hutu. I belgi hanno seminato il germe della divisione in Ruanda, e poco prima di andarsene hanno cambiato orientamento spalleggiando la maggioranza hutu, che a quel punto ha preso possesso dell’intero paese.

Massacrati a più riprese, i tutsi si sono rifugiati nei paesi limitrofi come l’Uganda, da dove nel 1990 Paul Kagame ha lanciato un’offensiva per riconquistare il Ruanda con il beneplacito degli Stati Uniti.

Nella conseguente battaglia di influenze, la Francia ha deciso di difendere il governo degli hutu in nome dello spazio francofono, cercando un fallimentare tentativo di mediazione che è poi sfociato nel genocidio dei tutsi. Oggi possiamo discutere delle responsabilità politiche di Parigi nella vicenda, ma è evidente che per Kagame la Francia sarà sempre l’alleato del regime assassino.

Il rancore del presidente ruandese ha anche un’altra causa, molto meno giustificabile della prima. Kagame, ex capo dei servizi segreti ugandesi, è un amante della forza, un uomo che ha il merito di aver ricostruito il suo paese, ma ha un atteggiamento autoritario e tollera gli oppositori. Non si può dimenticare che da vent’anni il presidente ruandese continua ad appoggiare i separatisti del Congo nella speranza di allargare i confini del Ruanda, troppo stretti in rapporto alla popolazione.

Le violazioni dei diritti umani e l’aspirazione a un imperialismo regionale hanno portato Kagame in rotta di collisione con gli Stati Uniti e i vicini africani. In un momento in cui l’economia ruandese è in crisi, lo scontro con la Francia permette a Kagame di presentarsi come l’artefice della vittoria delle vittime del terzo genocidio più grande del XX secolo dopo quelli degli ebrei e degli armeni.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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