La vicenda la dice lunga sulla Francia, gli altri paesi dell’Ue e la stessa Europa unita. La grande azienda francese Alstom, leader in due settori strategici come l’energia e il trasporto ferroviario, è a corto di capitali e contratti. La compagnia è in seria difficoltà, ma può ancora riprendersi perché i suoi prodotti non sono affatto superati e non è afflitta da un’irreversibile mancanza di competitività.
Nonostante ciò il suo capo e alcuni azionisti vorrebbero venderla al gigante americano General Electric, che ha tutti i mezzi per portare a termine l’operazione. I vertici di Alstom sottolineano che General Electric è un acquirente credibile e che il cambio di proprietà non minaccerebbe i lavoratori perché le due società sono complementari.
Sembrerebbe un’operazione logica, quasi provvidenziale, se non fosse che i brevetti e i ricercatori passerebbero a un’azienda americana, che la Francia dovrebbe acquistare da un’impresa straniera ciò che oggi compra da una società francese, che l’azienda americana sarebbe logicamente portata a tutelare gli interessi propri e degli Stati Uniti e che sarebbe il governo americano e non quello francese a incassare le imposte. La vendita, insomma, favorirebbe l’economia americana e penalizzerebbe pesantemente l’economia francese e di conseguenza quella europea.
Per quanto siano globalizzate, le aziende hanno ancora una nazionalità. In questi giorni i vertici di Alstom non si curano dell’interesse nazionale e dell’apporto che un paese riceve dalle sue aziende (ma tutto cambia quando arriva il momento di chiedere aiuti allo stato), e sottolineano che la soluzione europea, Siemens, comporterebbe licenziamenti inevitabili.
Eppure, oltre al fatto che Alstom pensa più alla cifra offerta da General Electric che al futuro dei suoi dipendenti, bisogna capire che l’occupazione non si valuta a breve termine. I posti di lavoro nascono prima di tutto dal grado di industrializzazione e dalla capacità di esportare di un paese, dall’equilibrio delle sue finanze pubbliche e dalla sua propensione a investire sul futuro. In Europa l’occupazione deriva da investimenti comuni, dalla creazione di grandi aziende continentali come Airbus, dalla capacità di portare i nostri prodotti sul mercato mondiale e dalla riduzione del numero di disoccupati attraverso uno sviluppo comune. Pur con i suoi inconvenienti, l’accordo con Siemens è cento volte preferibile alla vendita a General Electric, perché come accaduto con Airbus permetterebbe di procedere verso la re-industrializzazione condivisa dell’Europa. Una svolta di questo tipo dovrebbe essere la priorità assoluta per i governi nazionali e per le istituzioni comunitarie che usciranno dalle prossime elezioni europee, la cui importanza appare sempre più evidente.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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