Gli scenari politici europei si somigliano un po’ tutti, ma oggi la situazione danese è senza dubbio la più simile a quella francese. Dopo essere stato governato dalla destra per dieci anni, il più meridionale dei paesi scandinavi è ora sotto il controllo di una sinistra sempre più in difficoltà.
Costretto a risanare le finanze pubbliche, che aveva trovato in condizioni precarie, il governo taglia le spese e l’assistenza sociale (la più sviluppata del mondo). La popolarità dei socialdemocratici è in picchiata: dalle legislative del 2011 hanno già perso otto punti, e oggi sono appoggiati soltanto dal 17 per cento dei danesi.
Tuttavia ad approfittare della situazione non sono i conservatori ma il Partito del popolo danese, una formazione che si potrebbe definire populista se l’aggettivo non fosse privo di senso. Il partito è comunque lontano dalle posizioni dell’estrema destra, tanto che il primo maggio ha teso la mano ai socialdemocratici dichiarando che “i lavoratori danesi sarebbero avvantaggiati da un riavvicinamento” tra le due forze politiche.
In questo caso il parallelo con la Francia non è più valido, e la situazione danese getta una luce singolare sull’evoluzione politica in atto in Europa. Vent’anni fa, quando è stato fondato, il Partito del popolo danese si presentava come difensore dei meno abbienti, dei disoccupati e dei pensionati, ma anche come nemico dell’islam, considerato inconciliabile con la tolleranza scandinava, i diritti delle donne e la parità dei sessi.
Da allora il partito ha continuato a ottenere consensi grazie alla difesa dei diritti e dei privilegi dell’Europa e della Scandinavia. Come la nuova estrema destra olandese, dove gli omosessuali hanno un peso particolare perché vedono nell’islam un nemico della parità di diritti, il Partito del popolo danese è nazionalista in quanto vuole difendere le conquiste sociali dalla presunta influenza negativa dell’immigrazione musulmana. In questo senso il partito mette la xenofobia al servizio di un progressismo fondato su decenni di lotte, e utilizza i metodi dell’estrema destra per conservare le conquiste della sinistra e dei sessantottini.
Il partito non vuole avere rapporti con il Front national francese, a cui rimprovera non soltanto le “profonde radici antisemite” ma anche il suo approccio protezionista, perché il libero scambio è una delle chiavi della prosperità danese e dunque del suo sistema di protezione sociale. Più ancora che i Paesi Bassi, insomma, è la Danimarca che dimostra in che modo l’elettorato di sinistra, operaio e piccolo-borghese, può arrivare al rifiuto degli immigrati, all’ostilità verso l’islam e a una profonda sfiducia nei confronti dell’Unione europea (da cui però non si vuole separare).
Secondo i sondaggi il Partito del popolo danese potrebbe diventare la prima forza politica del paese, non soltanto alle europee ma anche alle elezioni generali.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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