Il no è tornato in vantaggio, ma senza riguadagnare tutto il terreno perso la settimana scorsa. Ora l’unica certezza è che non sappiamo se gli scozzesi sceglieranno o meno l’indipendenza, e l’inquietudine dell’attesa si fa sentire in Europa e nel resto del mondo.

In Europa il timore è che un sì provochi altre divisioni, dalla Spagna al Belgio passando per l’Italia e per tutte le aree dove le identità regionali, linguistiche e storiche hanno la tendenza ad affermarsi davanti a uno stato il cui potere è ormai ridimensionato dalla globalizzazione dell’economia.

Basta osservare l’attenzione, la passione e l’entusiasmo con cui la Catalogna segue il referendum scozzese per capire che questo timore non è affatto infondato. A questo punto potremmo davvero assistere al disfacimento di alcuni stati prima che l’Unione europea ne abbia raccolto il testimone. L’Europa unita ne uscirebbe indebolita, e le sue istituzioni dovrebbero affrontare il problema di come inquadrare la Scozia o le Fiandre indipendenti, a cui la Spagna continuerebbe a rifiutare l’adesione nel timore di accelerare la propria disgregazione.

I motivi di preoccupazione ci sono, ma esiste anche un altro modo meno negativo di considerare la situazione. Una secessione della Scozia favorirebbe infatti l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, perché gli scozzesi sono i principali partigiani dell’unità europea in Gran Bretagna. A quel punto non dovremmo più assistere alle manovre di Londra per frenare il federalismo dell’Unione, e i nuovi stati sarebbero meno reticenti rispetto alle capitali di oggi all’idea di delegare la sovranità all’Europa unita perché sarebbero più legati alla loro identità che al loro peso sulla scena internazionale.

Se per l’Unione europea la posta in ballo è enorme, per il resto del mondo un sì della Scozia avrebbe un effetto sismico. Se il Regno Unito, che è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha la sesta economia del mondo ed è stato la principale potenza coloniale, dovesse smembrarsi, cadrebbe anche il tabù dell’inviolabilità dei confini. Questo fenomeno è già in corso in Africa e Medio Oriente, dove le frontiere artificiali di Sudan, Repubblica Centrafricana, Iraq e Siria cominciano a scricchiolare.

La sacralità dei confini nazionali è in pericolo anche nell’ex blocco sovietico, dove dall’Ucraina alla Georgia passando per la Moldavia le frontiere tornano a essere provvisorie. In questo contesto, se il Regno Unito dovesse dividersi, l’onda d’urto avrebbe una portata mondiale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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