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I due volti di Fidel Castro

Fidel Castro durante un discorso per l’anniversario della rivoluzione all’Avana, il 26 luglio 1964. (Ap/Ansa)

Un eroe? Un boia? Forse discuterne così tanto, dopo l’annuncio della sua morte, non ha senso. Perché Fidel Castro è stato prima l’uno e poi l’altro, o le due cose contemporaneamente, eroe e boia. Eroe lo è stato perché nel 1959, entrando all’Avana alla guida di una colonna di guerriglieri assetati di giustizia sociale e pronti a cacciare l’ex sergente Fulgencio Batista (diventato capo di stato dopo un golpe militare), Castro rovesciò un regime odioso.

Sotto Batista, Cuba era la destinazione preferita del turismo sessuale statunitense, e questo non è nemmeno l’aspetto peggiore. Con la complicità del suo presidente, Cuba era diventata la base della mafia americana, che vi investiva e riciclava il denaro sporco oltre a sceglierla come sede per le riunioni dei padrini (amici di Batista) negli hotel di lusso di loro proprietà. Nel frattempo la popolazione viveva in condizioni disastrose.

Gioventù, libertà e fallimenti
In questo senso Fidel Castro è stato senz’altro un liberatore, acclamato e ammirato dal mondo intero e adulato in tutta l’America Latina per aver realizzato l’impossibile: liberarsi di un regime asservito agli Stati Uniti a due passi dal territorio americano, dove niente poteva accadere senza il consenso di Washington, impegnata nella lotta contro il comunismo. Giovani, belli, insolenti, portatori di tutte le virtù e sempre con il sigaro in bocca, Fidel Castro e Che Guevara erano le divinità viventi della generazione degli anni sessanta, quella che voleva distruggere l’ordine mondiale della guerra fredda e sognava la rivoluzione senza però riconoscersi nel grigiore dei leader sovietici.

Giustizia sociale, gioventù e libertà, discorsi accorati e salsa. La nuova Cuba sembrava annunciare un cambiamento entusiasmante, ma come tutte le rivoluzioni anche quella cubana non ha mantenuto le sue promesse. Dal terrore in Francia al gulag nell’ex Unione Sovietica, storicamente la rivoluzione tende a precipitare nel sangue, perché è nata dalla violenza e non può sopravvivere senza la violenza, senza la repressione, la censura e l’incarcerazione.

La rivoluzione cubana ha portato risultati importanti. L’istruzione e il sistema sanitario rappresentano due grandi successi, ma i risultati positivi si fermano qui.

La deriva repressiva si spiega in parte con l’embargo imposto dagli Stati Uniti che ha soffocato l’economia dell’isola, ma è anche vero che questo embargo nasce dall’aumento della tensione con Washington che aveva spinto la Cia a voler rovesciare il regime di Castro, che accettando l’installazione di missili sovietici sul suo territorio aveva spinto il mondo sull’orlo di una guerra nucleare.

L’ebbrezza della rivoluzione ha fatto dimenticare a Castro i rapporti di forza, condannandolo a diventare sempre più brutale e intransigente. Oggi la posizione del governo cubano si è ammorbidita, ma sull’isola il dibattito, aperto ben prima della sua morte, riguarda ancora il modo di lasciarsi alle spalle il comunismo. È un processo difficile, e i precedenti non sono incoraggianti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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