Forse è troppo, o non abbastanza. Senza dubbio la punizione, come a scuola, non è una politica. Ma bisognerebbe essere all’oscuro dell’ultimo attacco chimico contro una zona controllata dai ribelli siriani e bisognerebbe aver chiuso gli occhi sui crimini commessi da Bashar al Assad per indignarsi del bombardamento – con più di cinquanta missili – ordinato qualche ora fa da Donald Trump contro la base aerea siriana da cui era partito l’attacco.

Dunque, questo crimine non è rimasto impunito. Moralmente parlando, meglio così, è solo stata fatta giustizia. Ma politicamente parlando?

Qui le domande diventano tante, perché in fondo è stata distrutta solo una base e non è stata eliminata l’intera aviazione di Assad.

Il macellaio di Damasco ha altri aerei. Potrebbe ripetere le sue azioni e non avrebbe nemmeno bisogno di ricorrere di nuovo alle armi chimiche per mettere la Casa Bianca con le spalle al muro, dato che nuovi bombardamenti contro zone abitate, nuove vittime civili e i diversi luoghi comuni che farebbero immediatamente il giro del mondo finirebbero per suggerire a Donald Trump nuove reazioni, oppure lo spingerebbero a trattare un domani con il governo che questa notte ha attaccato.

Faccia a faccia in Medio Oriente
E non c’è solo Bashar al Assad. I suoi due alleati – gli iraniani e, soprattutto, Vladimir Putin – potrebbero essere tentati di mettere alla prova la Casa Bianca in un modo o nell’altro. Si aprirebbe così un periodo di estrema incertezza nel momento in cui il presidente statunitense è, per essere gentili, un uomo senza esperienza, i suoi alleati sono presi alla sprovvista dalle sue decisioni, i suoi collaboratori sono per la maggior parte dei novizi e la politica estera statunitense resta da definire.

Da questa notte siamo entrati in una zona pericolosa per la stabilità internazionale, perché la Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump si trovano faccia a faccia in Siria, nel cuore di un Medio Oriente in piena implosione.

Siamo passati da un’inattività rassegnata all’illusione che la forza potrebbe, da sola, risolvere un conflitto nel quale si mischiano vari elementi

Questo vuol dire che bisogna rimpiangere la decisione statunitense? No, sia perché sarebbe difficile deplorare che per una volta i misfatti di Bashar al Assad sono stati puniti sia perché i rimpianti non servono a niente.

Cio che è fatto è fatto. Non c’è niente di sorprendente, perché Bashar al Assad ha compiuto un crimine di troppo. Ma bisogna constatare che all’improvviso siamo passati da un’inattività rassegnata all’illusione che la forza potrebbe, da sola, risolvere un conflitto nel quale si mischiano vari elementi.

Primo, l’aspirazione dei siriani alla libertà; secondo, gli odi suscitati dalla ferocia che questo regime ha mostrato dal 2011; terzo, il pericolo costituito dal gruppo Stato islamico, un’organizzazione in ritirata ma non ancora del tutto sconfitta; quarto, la rivalità regionale tra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita; quinto, e non è la questione minore, la credibilità di Vladimir Putin a livello internazionale e interno.

Quindi no, questa notte non si è risolto niente, e niente si risolverà né in un giorno né in dieci anni.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it