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Il voto in Francia in tre parole

Sostenitori del candidato socialista Benoît Hamon a place de la République, Parigi, il 19 aprile 2017. (Francois Mori, Ap/Ansa)

Dall’affermazione di nuove correnti politiche alla crisi dei grandi partiti, le prossime elezioni presidenziali francesi sono piene di novità. Al di là di questa evoluzione delle linee di separazione, però, la campagna presidenziale è segnata da un’altra importante novità: l’aumento dell’approssimazione nell’uso di parole e concetti.

Giorno dopo giorno, molti candidati e giornalisti si sono resi colpevoli di questo peccato. Prendiamo tre esempi.

Un “socialdemocratico” non è chiunque appartenga alla destra della sinistra o alla sinistra della destra. Non è un moderato qualsiasi, ma l’erede di una grande tradizione che affonda le sue radici nell’ottocento, quando la nascita del movimento operaio dal calderone della rivoluzione industriale ha affiancato le rivendicazioni sociali alle rivendicazioni democratiche diffuse in tutta Europa dalla rivoluzione francese.

Capitali sfuggiti alle regole
La socialdemocrazia aspirava a una democrazia che fosse anche sociale, ed è da questo tronco che sono nati due rami contrapposti, il comunismo e la sinistra democratica che in tutta l’Europa del nord ha conservato l’appellativo di “socialdemocrazia”. Sono stati i socialdemocratici svedesi a inventare l’idea di un compromesso permanente tra il lavoro e il capitale attraverso la creazione di un rapporto di forze basato sull’esistenza di sindacati e di partiti operai abbastanza potenti da lanciare movimenti di rivendicazione e portarli alla vittoria.

È alla socialdemocrazia che dobbiamo la forza della previdenza sociale in Europa. Se oggi la socialdemocrazia è in crisi, e con essa tutta la sinistra, è perché l’ascesa di nuove potenze industriali e la possibilità di delocalizzare le produzioni hanno permesso al capitale di sfuggire alle leggi nazionali e alle pressioni dei movimenti di rivendicazione.

È per questo che i socialdemocratici sono profondamente filoeuropei, perché vorrebbero opporre al capitale una potenza politica di taglia continentale impossibile da aggirare.

L’affermazione della Francia deve passare per altre strade, europee, senza farsi corteggiare da un autocrate russo

Il secondo esempio è l’Europa, che tutti chiamano “Bruxelles”. L’Europa che non esiste in sé come non esiste l’Onu, perché come l’Onu è la somma delle sue parti. Se vogliamo cambiare politiche decise in comune dai leader nazionali dei paesi dell’Unione, dunque, non dobbiamo prendercela con l’Europa ma con i leader nazionali, perché loro esistono davvero e possiamo sostituirli.

Il terzo esempio di approssimazione riguarda un aggettivo. In questa campagna sembra che tutti siano “gaullisti”, ma il gaullismo era una politica estera che consisteva nell’affermare la specificità della Francia davanti alle due superpotenze della guerra fredda, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Dato che non esiste più un blocco sovietico, questa politica non ha più un oggetto. L’affermazione della Francia deve passare per altre strade, chiaramente europee. Farsi corteggiare da un autocrate russo non significa certo essere gaullisti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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