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Marine Le Pen usa le stesse tattiche di Donald Trump

Prima del dibattito televisivo tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron a La Plaine Saint-Denis, vicino a Parigi, 3 maggio 2017. (Eric Feferberg, Reuters/Contrasto)

A tutti quelli che si sono persi il dibattito televisivo tra i due candidati, in Francia e all’estero, c’è solo un consiglio da dare: ripensino all’ultima campagna presidenziale statunitense e avranno un’idea precisa di cosa è accaduto la sera del 3 maggio.

Uno dei due candidati ha presentato i suoi argomenti razionali (giusti o sbagliati che siano) per difendere le proposte che intende realizzare (a torto o a ragione), mentre l’altra, esattamente come Trump, si è abbandonata all’invettiva e al sogghigno permanente accusando il suo avversario di essere responsabile di tutti i mali del paese e della terra. Marine Le Pen ha aggredito Emmanuel Macron come se fosse l’incarnazione delle forze del male, del “sistema”, della finanza, del terrorismo e di un misterioso complotto volto a danneggiare la Francia.

Approssimazioni, insinuazioni e trucchi. Le Pen come Trump, con la stessa invettiva e la stessa promessa di risolvere tutto e di tornare alla felicità grazie a una semplice elezione.

Alcuni sottolineeranno che alla fine Trump è stato eletto. È vero, il magnate è riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti, e allo stesso modo il 7 maggio Le Pen potrebbe prendere in mano le redini della Francia. Non lo sappiamo.

La stessa paura
Ma il problema è un altro. In attesa dei risultati, bisogna capire perché la candidata del Front national abbia già sedotto quattro francesi su dieci giocando le stesse carte di Trump. La risposta è semplice: se ciò che ha funzionato negli Stati Uniti funziona anche in Francia significa che il mondo intero è affetto dalla stessa malattia.

Questa malattia è la paura. Davanti ai cambiamenti provocati dall’emergere di nuove potenze e dalla fine dell’ordine bipolare della guerra fredda, molti paesi hanno cominciato ad avere paura del futuro.

La Russia teme di non riprendersi dalla perdita del suo impero. Gli Stati Uniti temono di non essere più i padroni del mondo. La Cina teme di non riuscire a portare a termine il suo progetto. L’Asia teme l’affermazione della Cina. Ogni stato teme l’altro, e all’interno dei confini nazionali si temono le minoranze e gli immigrati. Oggi non conviene affatto essere caucasici in Russia, messicani negli Stati Uniti e via dicendo. A questa paura dello straniero percepito come una minaccia in un mondo senza equilibrio si aggiunge una paura sociale.

Un tempo bandiera della sinistra, la previdenza sociale è diventata il vessillo dei nazionalisti

Come Trump, anche Le Pen ha fatto campagna contro la delocalizzazione e a favore del protezionismo, contro gli immigrati e a favore del ripristino di frontiere invalicabili come muri (o da trasformare in muri veri e propri). Un tempo bandiera della sinistra, lo stato sociale è diventato il vessillo dei nazionalisti e dell’estrema destra perché è minacciato dal libero scambio.

I riferimenti e le identità politiche si perdono, tutto si mescola. Se non vogliamo che questo caos si trasformi in un anteguerra e poi in una guerra devastante bisognerà fugare tutti i timori. Un’impresa titanica.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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