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Trump arriva al G20 senza una politica estera

Donald Trump prima dell’incontro con il presidente polacco Andrzej Duda a Varsavia, il 6 luglio 2017. (Carlos Barria, Reuters/Contrasto)

Una parentesi a Varsavia il 6 luglio e poi 48 ore di G20 ad Amburgo. Tra gli altri, Donald Trump incontrerà il presidente russo e quello cinese oltre alla cancelliera tedesca, che non gli risparmia critiche sul protezionismo e sul voltafaccia sull’accordo di Parigi sul riscaldamento globale.

Potrebbe essere un viaggio di routine, business as usual, il presidente della prima potenza economica e militare del mondo acclamato dalla Polonia filoamericana e accolto con la deferenza dovuta al suo rango dagli altri 19 paesi più ricchi del pianeta. E invece no.

Se Donald Trump ha effettivamente diversi amici ai comandi a Varsavia, nazionalisti che apprezzano il suo nazionalismo, non ne ha molti all’interno del G20, i cui leader sono sbigottiti davanti al re di Twitter che in meno di sei mesi ha scatenato il caos nei rapporti internazionali.

Un binomio fallito
Oggi gli Stati Uniti non hanno più una politica estera, né lodevole né disprezzabile. Nessuno sa più cosa vuole questo paese da cui dipende in gran parte la stabilità internazionale e che, palesemente indeciso sul da farsi, continua a cambiare rotta.

Il candidato Trump era mosso da una grande idea. Voleva realizzare un riavvicinamento con Vladimir Putin, a cui non risparmiava elogi. Il futuro presidente voleva appoggiarsi sulla Russia per contrastare l’Europa e isolare la Cina, per emarginare due potenze economiche che considera concorrenti degli Stati Uniti. In sostanza, Trump sognava di tornare al binomio della guerra fredda – Mosca, Washington e nessun altro – ma un binomio in cui Russia e Stati Uniti non sarebbero stati più avversari ma alleati.

Oggi il rapporto degli Stati Uniti con la Cina appare compromesso

Perché no? Tutto è concepibile, anche le più grandi semplificazioni. Il problema è che la valanga di rivelazioni sulla connivenza tra la squadra che ha curato la sua campagna elettorale e l’ambasciata russa ha fatto saltare il piano. A meno di confermare i sospetti, Trump non poteva più stringere un’alleanza con Putin, e dopo aver offeso in ogni modo la Cina si è riavvicinato a Pechino promettendo di non scatenare guerre commerciali se i cinesi avessero accettato di aiutarlo a calmare la Corea del Nord.

Solo che la Cina non ha affatto contribuito a calmare Pyongyang. Trump allora ha alzato nuovamente i toni contro Pechino e ha deciso di vendere armi a Taiwan. Oggi il rapporto con la Cina appare compromesso. L’Europa sta creando una difesa comune perché da gennaio ha tutte le ragioni di non credere più nell’ombrello americano. Trump, nel frattempo, ha abbracciato le monarchie del Golfo, tanto da farle sentire autorizzate a organizzare il blocco del Qatar, colpevole di aver cercato un’intesa con l’Iran. Il presidente americano ha apprezzato la mossa, ma i suoi diplomatici e i vertici dell’esercito sono infuriati perché il Qatar ospita la più grande base militare americana in Medio Oriente.

Siamo davanti a una specie di spettacolo da circo. Resta da capire se ad Amburgo Trump vorrà almeno provare a rimettere assieme i pezzi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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