La situazione, a questo punto, rischia davvero di sfuggire di mano. Niente è scontato, ma il fatto che il governo francese abbia ceduto alle richieste dei gilet gialli – troppo poco, troppo tardi – e che Macron si sia rassegnato a un mezzo passo indietro, potrebbe radicalizzare il movimento, rafforzandolo e allargandone i ranghi.

Da tempo i salari in Francia sono sostanzialmente bloccati. Da tempo lo stato taglia le spese chiudendo servizi pubblici, commissariati, reparti di maternità e sportelli amministrativi nelle zone meno popolose. Da tempo il sovranismo sta crescendo in questo paese che nel 2005 era stato il primo a dire no all’allargamento dell’unità europea. Segno dei tempi, i licei sono in fermento.

Per parafrasare un’espressione celebre, la Francia ha 68 milioni di individui e 68 milioni di motivi di malcontento. La possibilità che il paese si infiammi come nel 1968 o addirittura come nel 1789 è assolutamente reale, al punto che alcuni settori dell’imprenditoria, la quasi totalità degli intellettuali, molti deputati che Macron aveva portato all’elezione sulla scia del suo successo e tutti i mezzi d’informazione (a cominciare da quelli di destra) stanno prendendo le distanze dal giovane presidente che fino a ieri era tanto osannato.

Brillante, coraggioso, ma anche sprovvisto di esperienza politica e poco avvezzo ai problemi della gente comune, il giovane Macron si ritrova solo. L’unica risorsa che gli resta è il doppio cenone di fine anno, la “tregua di Natale” che sospende tutti i conflitti.

Senza la loro unità, i paesi europei non potrebbero più avere un peso rilevante nello scontro tra titani annunciato da questo secolo

Forse le feste potranno smorzare la tensione. È una speranza, ma potrebbe anche non bastare, tanta è la collera che si respira nell’aria. Se sarà così, la Francia entrerà in acque sconosciute. Seconda potenza dell’Unione europea e quinta al mondo, la Francia potrebbe ritrovarsi paralizzata, e con la loro protesta i gilet gialli potrebbero dare una spinta decisiva a tre evoluzioni internazionali intimamente legate tra loro e tutte ugualmente inquietanti.

La prima è la crisi del multilateralismo a beneficio del bilateralismo e dei tradizionali rapporti di forza tra gli stati. Donald Trump è l’incarnazione più tonante di questo approccio, ma prima di lui ci sono stati Putin, Xi Jinping e Narendra Modi, leader di Russia, Cina e India, decisi a contare solo sulle loro forze e non sulla concertazione o il diritto internazionale. Oggi Macron è uno dei leader politici che con maggior convinzione sostengono il multilateralismo, grande conquista del dopoguerra.

La seconda evoluzione che potrebbe essere accelerata dai gilet gialli è il ritorno ai nazionalismi e alle guerre commerciali già avviato da Donald Trump. Da quando la base della politica degli Stati Uniti è tornata a essere “America first” e la prima potenza mondiale si preoccupa solo dei suoi interessi economici, il resto del mondo ha cominciato a fare lo stesso. Oggi siamo all’”ognuno per sé” e presto arriveremo al “tutti contro tutti”. Anche in questo caso, la Francia lancia l’allarme su uno slittamento che potrebbe avere conseguenze disastrose, anche se il suo presidente da un momento all’altro potrebbe subire uno scacco matto sul fronte interno.

La terza evoluzione che potrebbe essere accelerata dalla crisi francese è la crisi dell’Unione europea. Senza la loro unità, i paesi europei non potrebbero più avere un peso rilevante nello scontro tra titani annunciato da questo secolo. Senza unità, gli europei non potrebbero sognare una stabilizzazione dell’altra sponda del Mediterraneo attraverso una collaborazione con quella settentrionale.

Senza l’Unione, gli europei non potrebbero più difendere i valori democratici e la protezione sociale di cui sono, collettivamente, l’ultimo baluardo. Se finiranno davvero per separarsi, gli europei non potranno più far sentire la loro voce sui grandi temi attuali. Per tutti questi motivi, un fallimento di Emmanuel Macron sarebbe una pessima notizia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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