Il Brasile ha davanti un futuro incerto
La presidenza di Dilma Rousseff è appesa a un filo. Il 17 aprile, dopo giorni di estenuanti discussioni, la camera dei deputati del Brasile ha approvato, con 367 voti favorevoli e 137 contrari, la procedura per la destituzione della presidente, che appartiene al Partito dei lavoratori (Pt, sinistra). Una sconfitta durissima per il governo, che fino all’ultimo aveva sperato di avere i numeri per bloccare l’impeachment.
L’accusa contro Rousseff, ex guerrigliera, delfina del fondatore del Pt Luiz Inácio Lula da Silva e prima donna a essere stata eletta alla guida del gigante sudamericano, è di aver manipolato il bilancio del 2014, anno della sua seconda vittoria elettorale. Nel 1992 un altro presidente, Fernando Collor de Mello, fu allontanato dal suo incarico attraverso la procedura di destituzione. Ma in quel caso l’accusa era molto più grave: arricchimento personale.
Come fa notare Le Monde, colpendo Rousseff una parte del parlamento vuole puntare il dito contro un gigantesco sistema di corruzione che la presidente non ha saputo controllare: lo scandalo Petrobras, l’azienda petrolifera statale che ha truccato appalti e fatto affari con gran parte della classe politica del paese, in primis con il partito al governo, ma anche con l’opposizione e i partiti più piccoli.
Nella migliore delle ipotesi
Rousseff sapeva della corruzione
nella Petrobras, ma ha preferito chiudere un occhio
Rousseff non è implicata direttamente nell’indagine lava jato (autolavaggio), in corso da più di due anni per far luce su questo tentacolare sistema di tangenti, ma essendo stata presidente del consiglio d’amministrazione dell’azienda dal 2003 al 2010 molti dubitano che possa essere all’oscuro dei fatti. Nella migliore delle ipotesi Rousseff sapeva, ma ha preferito chiudere un occhio.
Lo scenario che si è aperto dopo il voto della camera non è dei più semplici, soprattutto per un paese come il Brasile, con un’economia in contrazione a causa delle politiche di austerità avviate dalla Rousseff e al crollo dei prezzi delle materie prime, tra i principali prodotti di esportazione del paese. Ora la battaglia per la sopravvivenza della presidente e del governo continuerà al senato. A maggio la procedura di destituzione passerà all’esame della camera alta, che potrà discuterla per un massimo di 180 giorni.
Alla fine di questo periodo, se almeno due terzi dei senatori approveranno l’allontanamento di Rousseff, la presidente sarà rimossa dall’incarico e al suo posto subentrerà il vicepresidente Michel Temer il leader del Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb, centrodestra) che fino al 29 marzo faceva parte della coalizione di maggioranza.
Nei prossimi mesi il clima politico in Brasile rischia di diventare più infuocato
In un paese diviso tra chi grida al colpo di stato contro la presidente eletta e chi vorrebbe fare piazza pulita di tutti i politici corrotti, Michel Temer, 75 anni, è un personaggio che non favorisce la riconciliazione nazionale: per alcuni rappresenta la salvezza, per altri è il principale architetto della macchinazione contro Dilma Rousseff.
Con ogni probabilità sarà lui a prendere in mano le redini del paese, benché il suo curriculum non sia immacolato: è accusato di aver comprato illegalmente etanolo. Anche sugli altri due possibili successori, l’evangelico presidente della camera Eduardo Cunha e il presidente del senato Renan Calheiros, pesano accuse di corruzione e riciclaggio di denaro.
A prescindere da quale sarà l’esito del voto al senato, nei prossimi mesi il clima politico in Brasile rischia di diventare sempre più infuocato e i toni dello scontro tra sostenitori e oppositori della presidente potrebbero alzarsi ancora di più. Nell’anno delle Olimpiadi a Rio de Janeiro e dell’epidemia di zika, la classe politica del paese dovrebbe prendere atto che la fiducia dei cittadini è venuta meno e che le priorità oggi sono cambiate.
Il nuovo governo, di qualsiasi orientamento sarà, avrà davanti a sé una sfida enorme: rilanciare l’economia, combattere la corruzione, conquistare la fiducia dei cittadini, demoralizzati e diffidenti, e non vanificare i risultati positivi ottenuti con i programmi sociali dei governi Lula, grazie ai quali più di venti milioni di brasiliani sono usciti dalla povertà.