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La provocazione finale del regista egiziano Yousry Nasrallah

Una scena del film Brooks, meadows and lovely faces.

Yousry Nasrallah, regista egiziano, storico assistente di Youssef Chahine, ospite regolare dei festival di Cannes e di Locarno, ci aveva abituato a un cinema impegnato. Nel 2012, con Baad el mawkeaa (Dopo la battaglia) parlava di rivoluzione e differenze di classe. Prima ancora, in Tamantashar yom (18 giorni) insieme ad altri dieci registi ha raccontato i 18 giorni di piazza Tahrir, nel 2011. E l’indimenticabile Bab Al Shams, del 2004, è l’adattamento del romanzo di Elias Khoury La porta del sole che ripercorre l’occupazione della Palestina.

Adesso, un po’ a sorpresa, ha realizzato Brooks, meadows and lovely faces che ha inaugurato il concorso del MedFilmFestival, a Roma. È un film ultraleggero, prodotto da Ahmed Al Sobki, famoso per film commerciali e spesso additato come il principale responsabile della “depravazione” della settima arte egiziana, stando a molti conservatori ovviamente, ma anche a tanti appassionati di cinema. Che cosa è successo?

“È il mio film più politico”, afferma con un sorriso provocatorio Yousry Nasrallah, incontrato proprio nei giorni del MedFilmFestival. “Cosa chiedeva chi ha fatto la rivoluzione in Egitto? Pane, dignità e libertà. Ed è esattamente di questo che parla il film. Cibo e dignità, perché i cuochi, al centro del film, così come gli artisti, non accettano di essere trattati come domestici. Libertà, perché è così che uno vuole vivere: ballare, cantare e scopare, contrariamente a quello che dicono i puritani”.


L’idea del film è nata molto prima della rivoluzione del 2011: “Avevo questa sceneggiatura nel cassetto dal 1995, quando sono andato a far visita alla famiglia dell’attore protagonista del film, Bassem Samra, a Balqas, sul delta del Nilo. Sono rimasto affascinato da questa famiglia di cuochi e dai loro racconti di matrimoni di persone di campagna, divertenti, liberi e libertini”.

Il film getta uno sguardo nostalgico e un po’ naïf sulla piccola cittadina bucolica di Balqas, a venti chilometri da Mansura. Durante una festa di nozze si affrontano due famiglie. Una popolare, legata alla cucina, visto che Yehia ha un’azienda di catering che gestisce insieme ai suoi figli Salah e Galal. L’altra è una famiglia ricca, con la capofamiglia cattivissima, vestita tutta di nero e diamanti, che alleva un piccolo leone in casa.

In questo Brooks, meadows and lovely faces ricorda molto la grande tradizione del cinema popolare egiziano degli anni cinquanta: il tema del matrimonio porta con sé il suo corredo di danze, musiche popolari e orientali e, come succede spesso nel cinema commerciale egiziano, è praticamente un musical. I cuochi raccontati da Nasrallah sono degli artisti: “I ricchi e i potenti pensano: ti pago e fai come dico io. Ma i miei cuochi, proprio come me, non si vogliono vendere. La loro dignità sta nel rifiuto di essere ‘addomesticati’. Ora dovremo essere fedeli a qualcosa che si fa chiamare ‘Egitto’, qualunque sia il significato di questa parola. In questo senso, il film è davvero sovversivo”.

Critiche alle scene sensuali e spinte
Dal suo mondo idealizzato, Nasrallah ha tolto i cellulari: “Preferisco un mondo in cui la gente si parla e si tocca, e credo che in realtà lo preferiscano tutti”. Siamo lontani anni luce dalla politica e dal Cairo con i suoi oltre venti milioni di abitanti. In arabo, il titolo del film Al Ma’ wal Khodra wal Wajh al Hassan è un modo di chiamare il paradiso terrestre.

I frutti di questo giardino delle delizie sono di fatto molto lascivi. Come Shadia, di cui Salah è follemente innamorato, o una donna sposata con cui Galal ha un incontro fugace. Sul palco poi c’è una ballerina di danza orientale moderna, stretta in un vestito attillato con un cuore rosso sul seno e un altro sul sedere.

Siamo quindi lontanissimi anche dal movimento del al fan al hadif (arte con uno scopo), cioè il movimento del cinema “pulito” che ha preso il sopravvento in Egitto negli ultimi anni. La presa di posizione del regista è fin troppo chiara. In patria hanno criticato pesantemente le scene sensuali e spinte: “Andate a farvi fottere”, risponde Nasrallah con un sorriso epicureo. “La vita è così, ed è così che ci piace”.

Nelle prime versioni della sceneggiatura c’erano dei politici corrotti. Ma non volevo parlare di questi parassiti

C’è molta allegria e ci sono anche colori sgargianti: “Volevo solo colori accesissimi, niente tinte pastello, a parte per Shadia che è il personaggio romantico. Del resto nel delta del Nilo si vestono così, con colori sgargianti”, spiega Nasrallah. E alla fine esprimere allegria in un momento buio per l’Egitto, dove i giovani che hanno fatto la rivoluzione sono depressi e senza speranze, è a suo modo un tipo di resistenza.

Brooks, meadows and lovely faces diventa una provocazione: non si combatte la politica, che semplicemente è ignorata, cancellata: “Nelle prime versioni della sceneggiatura c’era molta politica, c’era un politico corrotto e c’erano poliziotti. Ma poi ho pensato che non volevo parlare di questi parassiti. Ho voluto parlare delle cose che amo. Il cibo, la libertà, l’amore. Amiamo mangiare, provare piacere, essere trasgressivi, scegliere con chi vivere. Di politica si può parlare fino alla nausea, mentre ho voluto concentrarmi sulle cose veramente importanti, sui nostri bisogni naturali, su cui non c’è molto da discutere”.

Un film così gioioso finisce comunque con tutti gli invitati inseguiti dalle api e costretti a saltare in un ruscello. “È una scena a cui ho assistito davvero. A un matrimonio le signore si erano profumate al punto che le api le rincorrevano. Quando finiscono nel fiume tutti ridono ma l’idea è che quando usciranno le api saranno ancora lì pronte a pungerli”.

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