In Arabia Saudita la rivoluzione va in scena su YouTube
I sauditi, con 90 milioni di pagine viste al giorno, sono tra gli utenti più entusiasti di YouTube al mondo. Questo dato spiega, almeno in parte, il fenomeno Majed al Esa, il comico che fa ballare le donne saudite: il 23 dicembre è apparso un video incredibile per l’Arabia Saudita, in cui tre donne molto spiritose, coperte di nero dalla testa ai piedi, ballano e vanno in skateboard mentre prendono in giro gli uomini con una canzone.
Hwages (Ossessioni) ha raccolto nove milioni di visualizzazioni in pochi giorni. Guidate da un bambino di cinque anni, le tre donne in niqab, il velo che lascia scoperti solo gli occhi, cantano in dialetto del Golfo la loro insoddisfazione nei confronti degli uomini: “Che gli uomini possano sparire… sono tutti pazzi… e comunque sono tutti inutili”.
Il tono del video e il registro linguistico usato sono una bomba in un paese in cui le donne vengono considerate “minorenni” a vita e dove la mutawwia, la polizia religiosa incaricata di far rispettare la morale, è sempre all’erta.
Per i giornali occidentali si è immediatamente trattato di un manifesto per la liberazione delle donne saudite. Ma è importante contestualizzare e ricordare che era invece un video ironico e comico fatto da un uomo, e compreso come tale nel regno saudita.
Prima di Hwages, Majed al Esa era già un comico famosissimo nel mondo arabo. Con Barbs, il video che proponeva un ballo buffo, misto di danza tradizionale e hip hop, aveva registrato 38 milioni di visualizzazioni su YouTube, un successo alla Gangnam Style che ha fatto “barbsare” l’Arabia Saudita e il resto del mondo arabo. Per ballarlo, basta seguire le indicazioni e le scarpe da ginnastica rosse di Al Esa (dal minuto 1:30) e cominciare a ondeggiare come un cammello.
Sul suo canale ANA AB59, Al Esa – cantante, comico, regista, produttore della compagnia Eighties – propone da un paio d’anni sketch ironici sulla società saudita, come questo sulla festa dell’Eid o sulle droghe, dove un pusher produce artigianalmente arak, una bevanda alcolica molto popolare nel mondo arabo, con il sudore delle sue ascelle.
I numeri da capogiro raccolti da questi video dicono molto della nuova società saudita, e soprattutto del famoso youth bulge, la crescita esponenziale della popolazione giovane che avrebbe, secondo certi politologi, provocato almeno in parte le rivoluzioni arabe. In Arabia Saudita, il 64 per cento della popolazione ha meno di 30 anni, si tratta di uno youth bulge mai registrato prima nel regno, che nel lungo periodo cambierà inevitabilmente la fisionomia culturale del paese. Per ora spiega soprattutto la frenesia di consumo di video divertenti su YouTube.
Come il video virale di Majed al Esa testimonia, bisogna essere molto cauti quando si parla di rivoluzione digitale saudita. Già nel 2013 un altro comico, Alaa Wardi, cantava No woman, no drive, una canzone in cui ironizzava sul divieto di guidare imposto alle donne saudite. Il video fu visto da otto milioni di persone, senza però provocare nessun cambiamento spettacolare nel paese. Allora come ora, questo video rispondeva a una richiesta di intrattenimento piuttosto che a una vera e propria rivendicazione politica.
Allo stesso modo, il video di Majed al Esa non testimonia ancora un cambiamento nella situazione delle donne saudite, ma dice comunque molto su un’altra trasformazione: insieme ai giovani, le donne rappresentano un enorme mercato per la cultura digitale nel regno.
Le grandi aziende tecnologiche lo hanno capito da tempo. YouTube ha inaugurato nel 2016 il canale Batala (Eroina). Con uno spettacolare evento per il suo lancio a Riyadh a febbraio, l’azienda californiana ha annunciato che oltre cento donne creative del Medio Oriente e del Nordafrica hanno già postato mille video sul canale.
Su YouTube si possono vedere molte produzioni digitali quanto meno inattese, a cominciare da quelle realizzate da Haifa, un’americana-palestinese che è stata in 35 paesi in meno di due anni e mezzo. Tiene un vlog molto colorato, Fly with Haifa, per dimostrare “che niente può fermare una donna velata, e che possiamo fare tutto quello che vogliamo”. Seguitissima in Arabia Saudita, Haifa racconta i suoi viaggi, da quello in Indonesia, definito “un’esperienza che cambia la vita”, alla prima visita in Palestina dopo 24 anni.
Su Batala si può anche vedere la giovane Ingi Aboul Seaoud Abu, che nel suo programma Vignette recensisce i film egiziani. O ancora la saudita Miva Flowers, che con il volto coperto dal niqab dà consigli di bellezza, su trucco, manicure, pedicure e via discorrendo.
La capo progetto di Google per il canale Batala, Zain Masra, spiega che il 63 per cento delle donne saudite è interessato a guardare contenuti di “argomento femminile”, ma anche a produrli: “I sauditi contribuiscono per quasi un terzo alle visualizzazioni dei contenuti di YouTube in Medio Oriente e in Nordafrica, e contribuiscono anche alla produzione degli stessi. Questo spiega l’importanza di lanciare eventi digitali come Batala a Riyadh”.
Un’ultima indicazione che segnala come questa rivoluzione digitale non sia ancora una forma di controcultura è il fatto che è direttamente sostenuta da una direttiva governativa saudita. Con il suo piano per il futuro Vision 2030 il regno saudita vuole cambiare in profondità la società e diversificare la sua economia, andando oltre la sola produzione di petrolio: “Consideriamo la cultura e l’intrattenimento come fattori indispensabili per la qualità della vita. Siamo consapevoli che le opportunità culturali e di intrattenimento non rispecchiano oggi le aspirazioni dei nostri cittadini e residenti, e che non sono in armonia con la nostra prosperità economica”, si legge nella presentazione di Vision 2030.
Se è certo che questa nuova cultura di intrattenimento rappresenta un cambiamento epocale nel regno saudita, tanto più in quanto sostenuta da una popolazione molto giovane, le sue conseguenze offline potrebbero metterci ancora parecchio tempo prima di diventare tangibili.