La legge sull’aborto è sempre più sola
Domani pomeriggio a Milano e a Caserta si svolgeranno dei cortei per l’abrogazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, organizzati dal Comitato NO194 e appoggiato da Forza nuova, formazione di estrema destra.
Perché abrogare la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza? Perché, si legge nel manifesto, l’aborto è un atroce delitto e “la vita di ciascuno di noi è stata resa possibile dalla ricorrenza di due condizioni: il concepimento e l’assenza di eventi letali durante la gravidanza, tra i quali la sua interruzione volontaria è quello casisticamente di gran lunga più ricorrente”. Il comitato è per la “tutela della vita umana sin dal concepimento [e per] l’affermazione del diritto alla nascita, oggettivamente prodromico a qualunque diritto civile”.
Forza nuova aderisce con entusiasmo e spiega: “Centinaia di donne e uomini, ancora saldi nella difesa della Vita, sfileranno per le vie del centro cittadino per levare alto nel cielo della nostra città il proprio ‘NO!’ all’assassinio di decine di migliaia di bambini nel grembo delle madri, perpetrato ogni anno nei nostri ospedali. Sterminio di italiani garantito e pagato dallo Stato con le tasse di tutti noi. Forza nuova ha scritto nelle proprie fondamenta la difesa della vita dal concepimento al suo fine naturale”.
Forza nuova non condivide solo l’opposizione alla legge di morte, ma sarà presente per garantire l’ordine: “Nella precedente edizione, gruppi di ‘antagonisti’ invasati della morte e dell’omicidio, hanno insultato e cercato di aggredire più e più volte il pacifico corteo dei ‘NO194’, lungo tutto il suo percorso. Quest’anno non sarà tollerato che accada quanto accaduto la precedente edizione”.
Se non siete d’accordo, fatevi la vostra manifestazione: “Chi volesse manifestare a favore dell’omicidio degli infanti, lo faccia in una piazza, in un corteo, dove voglia e come voglia, senza pensare di recare danno o disturbo al Corteo di NO194”.
I termini e gli slogan usati dagli ultraconservatori sono facilmente riconoscibili e abbastanza ripetitivi. Spesso inciampano in contraddizioni e partono da premesse discutibili. Non meriterebbero grande attenzione se l’aborto volontario non fosse tanto malconcio. Perché non solo gli ultraconservatori lo condannano e invocano referendum abrogativi, ma pure gli animi più tiepidi e perfino quelli apparentemente favorevoli alla libertà di scelta si tengono a distanza.
Il silenzio che opprime l’interruzione volontaria di gravidanza, i vari “a me per fortuna non è mai successo” e “è sempre e comunque un trauma” sono modi, meno aggressivi ma altrettanto dannosi, di erodere la garanzia di un servizio che è considerato sempre meno medico ed è sempre più ricacciato nell’area del peccato mortale.
Lo stigma opprime qualunque conversazione sull’aborto. Le posizioni più avanzate sembrano essere quelle di rassegnata tolleranza verso la legalizzazione del male minore, come se non ci fosse la possibilità di depotenziarne la carica esplosiva e necessariamente dolorosa.
Solo provare a dire che abortire non sia sempre e per forza un’eterna ferita provoca rimproveri e reazioni brutalmente paternalistiche. Spesso i tentativi di rendere l’intervento meno difficile sono considerati un colpevole modo per facilitare, banalizzare, giustificare una scelta che non è nemmeno davvero tale. Perché non si può davvero scegliere di abortire. Deve sempre essere una necessità, qualcosa a cui non ci si può sottrarre.
La narrazione attuale dell’aborto esclude la libertà di scegliere senza portarsi dietro una scia di rimpianti e rimproveri.
Ma non è certo solo l’ombra della colpa a complicare l’accesso all’aborto. I medici obiettori di coscienza superano il 70 per cento di media nazionale – con punte di oltre il 90 per cento e interi reparti fantasma (cioè dove non si effettua l’interruzione volontaria di gravidanza). Gli aborti tardivi, cioè dopo i primi 90 giorni, sono ancora meno garantiti perché sono clinicamente più complessi e moralmente più controversi.
L’obiezione di coscienza è un peso non solo per i numeri ormai così alti, ma soprattutto per un’interpretazione sempre più ampia e ingiustificabile delle circostanze in cui si invoca.
L’articolo 9 della legge 194 ammette una contraddizione originaria (al tempo inevitabile e giusta perché chi aveva scelto di fare il ginecologo lo aveva fatto quando era illegale abortire), ma pone anche una questione interpretativa: “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.
Cosa significa “specificamente e necessariamente”? E che cosa possiamo includervi? Ecco due esempi recenti di (abuso di) obiezione di coscienza.
L’obiezione di coscienza e le ecografie
Lo scorso aprile Salvatore Felis era di guardia all’ospedale San Martino di Genova. Ginecologo e obiettore di coscienza, Felis rifiutò di fare un’ecografia a due donne che avevano assunto la pillola abortiva. Il padre di una delle due aveva chiamato la polizia e aveva denunciato il medico.
Il gup Silvia Carpanini ha rinviato a giudizio Felis. “Secondo l’accusa il medico avrebbe omesso di compiere atti d’ufficio in quanto le ecografie non sarebbero atti interruttivi della gravidanza. Il processo è fissato al 9 giugno” (Medico obiettore a giudizio a Genova, Ansa, 31 marzo 2015).
La direzione sanitaria e l’ufficio provvedimenti disciplinari non avevano invece considerato opportuno o necessario sottoporre il medico a un giudizio disciplinare e il caso era stato archiviato.
Possiamo considerare l’ecografia come una procedura “specificamente e necessariamente diretta a determinare l’interruzione della gravidanza”? Non sembra proprio. Anche tentare di giustificare l’obiezione in nome di una complicità o di una prossimità morale all’aborto non pare funzionare. In caso contrario dove dovremmo fermare queste concessioni così generose? Fin dove vale la scusa della complicità? In realtà questi confini sono stati già violati perché sono molti gli anestesisti obiettori di coscienza, così come le caposala. E perché non dovrebbero essere obiettori anche i centralinisti o chi prende le prenotazioni? O chi pulisce la sala operatoria o prepara i pasti?
È necessario ricordare, tuttavia, che in caso di urgenza o pericolo non c’è obiezione che tenga e che, almeno sulla carta, la garanzia del servizio è più forte della coscienza del ginecologo o dell’infermiere.
Qualche giorno fa il Movimento per la vita ha dichiarato che offrirà supporto legale a Felis. Il presidente Gian Luigi Gigli, nominato da pochi giorni, ha detto che “l’azione del gup costituisce l’ennesimo atto di intimidazione nei confronti di medici obiettori, già discriminati sul lavoro, in particolare nei consultori e nell’accesso alle posizioni apicali. L’obiezione di coscienza rispetto all’aborto si riferisce chiaramente a tutte le procedure che hanno a che fare con l’interruzione di gravidanza e viene meno solo in caso di necessità e urgenza, per proteggere la salute della donna, non già per verificare l’andamento della procedura, in questo caso di aborto chimico”. Chissà dove vive Gigli e che legge ha letto.
La contraccezione e l’obiezione
In questo caso è perfino più facile: non esiste una legge che prevede l’obiezione di coscienza per la contraccezione ordinaria o d’emergenza, non c’è nessuna questione di interpretazione più o meno restrittiva. Tuttavia non sono pochi i casi di rifiuto “di coscienza” da parte di medici e farmacisti. Non prescrivono, non vendono, non vogliono essere coinvolti. Ma non vogliono nemmeno rispondere di mancato servizio.
Il caso raccontato qui è simile a tanti altri ma fa più impressione perché i protagonisti conoscevano la legge e non si sono lasciati intimidire dal rifiuto: “Entriamo nella piccola stanza, nella quale sono presenti due giovani dottoresse, dopo aver spiegato di essere giunti perché c’è necessità di avere la prescrizione per la pillola del giorno dopo, le due ci chiedono di aspettare cinque minuti nella sala di attesa. Passano cinque minuti e le due escono, ci dicono che devono andare a parlare con la loro ‘strutturata’. Tenete bene a mente questa cosa per dopo. Dopo circa dieci minuti le due tornano e ci dicono che la strutturata ha riferito loro che essendo obiettore di coscienza non fa questo genere di prescrizioni. Noi rispondiamo con decisione dicendo che l’obiezione di coscienza per legge non si applica ai contraccettivi di emergenza e che dunque vogliamo parlare di persona con la loro superiore, insistiamo affinché vadano a riferirle che pretendiamo di vederla di persona”.
Ma non serve, e non basta nemmeno chiamare la polizia. Devono passare molte ore anche solo per scrivere e “motivare” il rifiuto. E alla fine sarà un’altra dottoressa a prescrivere il farmaco.
È chiaro che alcuni casi di obiezione sono legittimi (cioè interpretano correttamente la legge 194: rispetto a questi potremmo domandarci se oggi è ancora giusto prevedere un’esenzione da un servizio medico su base morale), ma molti hanno un profilo meno limpido o addirittura sono evidentemente illegali. Il risultato è che il servizio di interruzione di gravidanza è garantito in modo eterogeneo e dipende spesso dalla singola struttura e dai singoli medici. In questa incerta fotografia rientrano spesso anche la contraccezione e altre procedure mediche correlate. Chi ha la fortuna di capitare in un ospedale ben organizzato o sa a chi chiedere aiuto se la cava, gli altri si arrangiano.