Nel 1926, in un processo destinato a entrare nei libri di storia dell’arte, lo scultore Constantin Brancusi affrontò la dogana statunitense che aveva tassato la sua scultura in bronzo L’uccello nello spazio non come opera d’arte ma come semplice prodotto industriale.
Secondo la dogana, l’oggetto in bronzo non poteva essere un’opera d’arte perché frutto di una fusione, e quindi replicabile. Brancusi, sostenuto da grandi personalità dell’epoca come Marcel Duchamp ed Edward Steichen, rivendicò invece l’unicità della scultura. Brancusi vinse la causa.
Ottantacinque anni dopo, la Commissione europea ha deciso che alcuni video di Bill Viola e alcuni neon di Dan Flavin non sono opere d’arte. Non possono essere considerate sculture e quindi non possono beneficiare della tassazione ridotta. Le argomentazioni della Commissione sono grottesche, ma anche se l’intenzione fosse solo quella di rastrellare un po’ di denaro, pone comunque la delicata questione di quale può essere la definizione di opera d’arte.
Di sicuro non possono essere delle decisioni amministrative a stabilire se un oggetto è un’opera d’arte oppure no. In Francia, per esempio, una foto è considerata artistica solo se stampata in meno di trenta esemplari. La scelta risale a quarant’anni fa, quando alcuni fotografi decisero di porre a cinquanta il limite delle stampe di foto che non avrebbero sicuramente mai venduto.
Internazionale, numero 886, 25 febbraio 2011
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it