Un’immagine ignobile: un uomo bianco, in posa da cacciatore, con il fucile in mano, in piedi vicino a un corpo, apparentemente senza vita, di un bambino nero. Era su Face­book nel profilo di Eugene Terrorblanche, gioco di parole con il nome di Eugene Terre’Blanche, leader razzista afrikaner, assassinato nell’aprile del 2010.

La polizia sudafricana ha aperto un’inchiesta e molti utenti hanno protestato. Il profilo, aperto il 24 aprile è stato chiuso il 29 agosto. Nel frattempo è stata postata un’altra foto che mostrava un militante dell’Awb, movimento che auspica il ritorno alla repubblica dei boeri, in nome della supremazia bianca. L’uomo, a cavallo, porta la bandiera del movimento, che ricorda tanto quella nazista. Che si trattasse di un autoritratto dell’estremista o di uno scherzo di cattivissimo gusto, questo incidente la dice lunga su quello che i social network possono veicolare, tra narcisismo e delirio puro.

Creare un profilo e renderlo accessibile a tutti può soddisfare un bisogno di esibizionismo o quello di inventarsi una serie di personaggi che possano essere provocatori, grotteschi o seducenti. Abbiamo già parlato in passato di come Joan Fontcuberta ha affrontato l’argomento in una serie di autoritratti in cui si era ispirato a persone schiave dell’esibizionismo in ogni forma. Immagini sconvolgenti e rivelatrici. Ma la realtà sa essere più perversa.

Internazionale, numero 913, 2 settembre 2011

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