È uno di quei titoli sui quali ogni tanto si ritorna, perché sono al tempo stesso belli ed enigmatici. I fotografi, in linea di massima, non sono scrittori eccezionali e i titoli degni di attenzione sono pochi, soprattutto se riuniscono i loro testi. Henri Cartier-Bresson, che preferiva la rapidità del suo “tiro con l’arco” fotografico ai lunghi discorsi, ha quindi firmato un certo numero di testi, brevi, concisi, che colpivano nel segno.
Li ha raccolti lui stesso quando si era ormai consacrato al disegno – l’epoca in cui disse che non avrebbe mai più fatto fotografie, anche se non era vero visto che aveva sempre la sua Leica a portata di mano e di occhio, solo che non era più fotografo professionista – sotto il bel titolo
L’immaginario dal vero (Abscondita 2005). E sono ancora d’attualità.
Questi testi raccontano una pratica perfettamente opposta a quella che viene testimoniata da milioni di registrazioni sui nostri cellulari ed esprimono una vera filosofia dello sguardo. Precisione nella scelta dei termini, moderazione, zen, attenzione all’uomo, tensione tra forma e senso, libertà e modestia attraversano queste note dietro le quali si riesce a intuire un autore che sognava di limitare i suoi discorsi a degli haiku orientali. L’estate è stata al tempo stesso intensa e rilassante.
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