Pubblicazioni speciali, servizi speciali, una pioggia di portfolio, trasmissioni su radio e tv: tutto il mondo dei mezzi d’informazione francesi si unisce, in modalità celebrativa, alla grande retrospettiva che il Centre Pompidou di Parigi ha dedicato a Henri Cartier-Bresson, nel decennale della sua morte (3 agosto 2004).
Poco male, anche se questa commovente unanimità – giustificata da una retrospettiva imponente che riunisce più di cinquecento documenti, fotografie, dipinti e disegni, con un approccio che non lascia fuori nulla, né l’influenza del surrealismo, né l’impegno politico, né le relazioni con il cinema – sembra dimenticarsi di una
realtà con cui era necessario fare i conti.
Abbiamo dovuto aspettare il decennale della morte di Cartier-Bresson perché il museo nazionale d’arte moderna decidesse di consacrare una grande mostra all’artista che si era guadagnato ben prima il titolo di “occhio del secolo”. E questo la dice lunga sulla resistenza dell’istituzione museale a considerare la fotografia come forma d’arte, una volta per tutte.
Il Moma di New York aveva organizzato una prima esposizione monografica dedicata a Henri Cartier-Bresson già nel 1947. E da allora non ha mai smesso di esplorare la sua opera con pubblicazioni che hanno fatto epoca.
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