Presentato come “un’opera sensazionale” e come “una delle meraviglie dell’umanità finalmente a disposizione del pubblico”, il “progetto culturale a vocazione turistica” della Caverne du Pont-Arc replica – anche se in dimensioni ridotte – la grotta Chauvet, uno dei più importanti siti preistorici d’Europa. È evidente che si tratta di un’operazione che consente a un grande pubblico di guardare, in un ambiente ricostruito con estrema attenzione (fino ai dettagli sulla temperatura e sull’umidità del luogo che va visitato indossando almeno un maglione) uno dei complessi di pitture parietali più interessanti del mondo.
È chiaramente necessario preservare la grotta originale dalla presenza di migliaia di visitatori, che rischierebbe di metterla in pericolo. E ovviamente non andremo a fare questioni, in un mondo in cui la mercificazione della cultura avanza inesorabilmente, sulle ricadute economiche del progetto, attivato in una zona rurale finora poco frequentata dai turisti. Ma bisogna mettersi d’accordo sul vocabolario. Si parla di copia, di ricostruzione o di “replica”. Ora, dedicare tanta cura a ricostruire maniacalmente l’originale di solito significa qualcos’altro: produrre un falso. Una falsa grotta Chauvet per un commercio nascosto. Sul mercato dell’arte sarebbe un reato.
Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2015 a pagina 94 di Internazionale, con il titolo “Un falso per tutti”. Compra questo numero | Abbonati
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