Ecco come fino a poco tempo fa procedeva la trama imperialista in Iraq. Erano ricominciati i pellegrinaggi degli sciiti a Najaf e Karbala e dei sunniti alla Mecca e a Medina, dopo un divieto durato anni e imposto con il sangue. Era stato coniato un nuovo dinaro, senza il volto del dittatore, e stava per diventare convertibile. A fine giugno il quartier generale americano sarebbe stato trasformato in ambasciata. A quel punto sarebbero stati disponibili quasi cento miliardi di dollari per la ricostruzione del paese. Entro la fine dell’anno si sarebbe svolta la campagna elettorale per le prime elezioni libere della storia irachena.
Alcuni – assai meno coraggiosi sotto un regime certo non indulgente – preferirebbero non dare a questo processo la possibilità di riprendere fiato. Per loro è più nobile catturare ostaggi, uccidere prigionieri e nascondere cariche esplosive. Cosa vi ricorda questa guerra? Il Vietnam, dice il senatore Edward Kennedy. No, il Libano nel 1982, dice il New York Times. Colbert King, sul Washington Post, chiedendosi come siamo finiti in questa situazione paragona gli iracheni filoamericani agli Zio Tom su cui faceva affidamento l’opinione pubblica liberal per i consigli sul ghetto nero. E Thomas Friedman ha deciso che è l’arroganza dei curdi – nel chiedere di conservare ciò che già hanno – ad aver provocato la rivolta teocratica.
Due storie molto diverse
Se gli Stati Uniti fossero la nazione che i loro nemici pensano che siano, potrebbero benissimo permettersi di balcanizzare l’Iraq – lasciando che le varie fazioni ne prendano ognuna una grossa fetta – e stringere un accordo per dominare quel che ne resta. Continuano invece a tentare di creare qualcosa che sia allo stesso tempo federale e democratico. In mancanza di ciò, se proprio non si può fare di più, deve proseguire lo sforzo per impedire che l’Iraq cada nelle mani di demagoghi, assassini e ciarlatani. Non riesco a vedere come questo possa paragonarsi al tentativo di spaccare in due e dominare il Vietnam, bombardare le città, cospargere le foreste di agente arancio e consegnare la regione meridionale a brutali vassalli militari.
In primo luogo il Vietnam, anche all’apice del suo stalinismo, non invase né occupò mai i paesi vicini (perlomeno fino a quando non affrontò i khmer rossi), non impiegò mai armi di distruzione di massa dentro o fuori i suoi confini e non sostenne squadre di terroristi nichilisti e girovaghi. Se non tutti i suoi migliori nazionalisti erano comunisti, tutti i suoi migliori comunisti erano nazionalisti, e avevano già sconfitto l’impero giapponese e quello francese ben prima che gli Stati Uniti mettessero piede nel paese.
Quanto al Libano, nel 1982 il generale Sharon si ripromise di “risolvere” il problema palestinese insediando a Beirut un Partito falangista con tendenze fasciste, cioè una minoranza della minoranza cristiana. Invase un paese che aveva già un’ampia popolazione di profughi palestinesi, che non aveva commesso violazioni del diritto internazionale a parte accogliere i palestinesi contro la loro volontà e contro quella dei libanesi.
Colbert King è vicino al vero più di quanto creda. Gli iracheni arabi che assumono una posizione filoamericana sono tendenzialmente laici, istruiti e multiculturali. Spesso hanno anche dovuto trascorrere parecchi anni in esilio (come circa quattro milioni di iracheni) e molti di loro hanno avuto appena il tempo di tornare in patria e ricominciare da capo. Poi, anche secondo i sondaggi di opinione più scoraggianti, c’è una maggioranza che vuole solo il tempo per riflettere.
Un futuro di orrori già pronto
Le scene di Fallujah e Kut sono dimostrazioni di come sarebbe stato un trasferimento di poteri non guidato, senza le forze della coalizione. Questo è l’Iraq che era stato preparato per noi da oltre un decennio di sanzioni-più-Saddam, con una nuova classe di persone impoverite, private di qualsiasi diritto e paranoiche, con forze intimidatorie stile Khomeini, wahhabiti e Ba’ath a contendersi la loro fedeltà. Questo era il futuro che avevamo davanti.
Potrei fare un elenco degli errori che penso abbia commesso l’amministrazione Bremer, ma nessuno di questi può giustificare la barbarie teocratica. Se le città prese da al Sadr o dai gruppi sunniti fossero state lasciate a se stesse per alcuni giorni, la popolazione locale si sarebbe fatta un’idea del suo probabile futuro. E lo avrebbe respinto.
Ecco perché è inutile fare stupidi paragoni con il Vietnam. I vietnamiti non erano il nostro nemico, e meno che mai il nemico dell’intero mondo civilizzato, mentre le forze del jihad sono il nostro nemico e il nemico della civiltà. Ci sarebbero molti iracheni disperati se il loro paese vivesse un’altra fuga precipitosa come quella che ha conosciuto la Somalia. In ogni caso nessuno si è mai sognato di lasciare che una nazione di questa importanza diventasse proprietà dei combattenti di una guerra santa stile Arancia meccanica.
*Traduzione di Nazzareno Mataldi.
Internazionale, numero 535, 16 aprile 2004*
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