Una volta George Orwell dedicò un articolo a un aneddoto su sir Walter Raleigh che, a suo dire, poteva essere vero. Mentre era rinchiuso nella Torre di Londra, Raleigh decise d’ingannare la noia della detenzione scrivendo una Storia del mondo. Ebbene, un giorno, proprio sotto la finestra della sua cella, udì un gran trambusto che lo distolse dalla scrittura.

Si affacciò e vide che tra i secondini c’era una rissa, al termine della quale un uomo rimase a terra morto e gli altri fuggirono. Anche se aveva buoni agganci tra il personale carcerario, il dotto testimone oculare non riuscì a scoprire cosa avesse provocato la lite né chi avesse inferto il colpo mortale. Fu allora che lasciò perdere la sua Storia del mondo, della quale ci è giunto solo un frammento.

Non posso dire se, a proposito del suo servizio militare in Vietnam, John Kerry abbia detto tutta la verità oppure no. Però mi sento di affermare che non è stato saggio, da parte sua, sollecitare la pubblicazione della foto che lo ritrae con l’ex commilitone William Rood – oggi giornalista del Chicago Tribune – che dopo un lungo silenzio ha deciso di difenderlo.

L’ormai famosa immagine di Kerry con un lanciarazzi in spalla lo fa apparire incline a posare davanti ai fotografi per darsi importanza. Ovviamente l’accusa reciproca tra i due schieramenti di strumentalizzare i ricordi per finalità “di parte” è ridicola. Che altro dire? Lo stesso Kerry non ne ha mai fatto un feticcio, fino a quando non ha deciso di provare a ottenere la nomination di un partito politico (“di parte” significa proprio questo). John Kerry credeva davvero che, se si fosse rimesso addosso la vecchia uniforme, i suoi detrattori di un tempo sarebbero rimasti zitti?

Precisiamo: in passato Kerry ha usato il suo servizio militare per darsi credibilità come oppositore della guerra. Adesso lo usa per proporsi come costruttore di alleanze e comandante in capo. La distinzione non è priva d’importanza.

Anni fa, agli studenti e al corpo docente della New school di New York (dove il sottoscritto, va detto, insegna part time) è stato chiesto di decidere con una votazione se un altro senatore democratico – Bob Kerrey del Nebraska – dovesse o meno dimettersi da preside dell’ateneo, visto che era accusato di aver commesso dei crimini di guerra in Vietnam.

Alcuni dei suoi commilitoni sostenevano che avesse massacrato vecchi e bambini; secondo altri, era stato presente al fatto ma non aveva partecipato. In ogni caso, nessuno contestava che sotto il suo comando fosse stata commessa un’azione efferata. Qualunque fosse la verità, Kerrey se la tenne per sé. I docenti dell’università dove lavoro votarono per le dimissioni, ma Kerrey la fece franca, perché in un successivo combattimento aveva perso parte di un arto e poi si era schierato contro Nixon.

In quell’occasione, molti degli interpellati dissero che non bisogna dare giudizi su azioni commesse nella confusione della battaglia. Una conclusione davvero sbalorditiva, se si pensa che per le aule della New school è passata un’intera generazione di studiosi fuggiti in America dalla Germania nazista.

La nobile causa

Ebbene, John Kerry sostiene di aver sparato dalla sponda del fiume a un vietcong che fuggiva. Un tempo affermava di aver assistito ad azioni ben peggiori. E se avesse sempre detto la verità? Mi spiego: perché mai la sua partecipazione a una guerra ignobile dovrebbe costituire un requisito per diventare presidente?

Stiamo parlando di una guerra combattuta più di trent’anni fa da un esercito per lo più di leva, che usò armi letali in modo indiscriminato per reprimere un’insurrezione interna che durava da tempo e aveva radici profonde. Oggi, l’aver combattuto in un conflitto del genere è inutile per qualsiasi americano e irrilevante rispetto a ogni concepibile guerra in cui gli Stati Uniti possano essere impegnati.

Quindi, in tutta questa faccenda, le uniche valutazioni di qualche peso sono quelle che hanno a che fare con la “tempra morale” del soggetto, ma sono valutazioni difficili e soggettive. Se a Kerry non fa piacere veder contestare la sua versione, è stato molto imprudente a farne il fulcro della sua campagna elettorale.

Nel frattempo cose ancora più strane succedono a “sinistra” di Kerry. Michael Moore ha sostenuto a più riprese che può parlare della guerra in Iraq – o almeno, a favore della guerra in Iraq – solo chi si è mostrato disposto a mandare suo figlio a morire laggiù. Sorge spontanea una domanda: e se uno non ha figli in età da servizio militare? E un’altra: è giusto che solo gli ex combattenti, o i potenziali tali, possano dire la loro sul tema?

I democratici si sono dati la zappa sui piedi applaudendo in modo acritico gli atteggiamenti marziali del loro candidato. Hanno inoltre implicitamente rovesciato uno dei principi basilari della repubblica, cioè che sono i civili a esercitare il controllo sulle decisioni dei militari. Ma c’è di più: con questo gesto senza scrupoli, hanno fatto ciò che non era riuscito neanche a Reagan e Kissinger: hanno sdoganato la tesi che gli orrori del Vietnam furono commessi per “una nobile causa”.

*Traduzione di Marina Astrologo.

Internazionale, numero 554, 27 agosto 2004*

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