Abitiamo a Stoccolma da tre anni e aspettiamo il nostro secondo bambino. A me piacerebbe dargli un nome svedese, ma il mio compagno la trova una scelta di cattivo gusto. Tu che ne dici?–Gaia
Anni fa, in uno di quei programmi Rai che raccontano gli angoli nascosti dell’Italia, il conduttore era seduto su un prato con due bambini, fratello e sorella, che tenevano in braccio un agnellino. L’uomo non la finiva più di decantare il contesto bucolico in cui crescevano quei ragazzini, lontani dallo smog, dai videogiochi e dalla tv. Ma quando i bambini, in perfetto accento trentino, gli hanno detto di chiamarsi Brandon e Brenda, sul suo viso – e su quello di qualche centinaia di migliaia di telespettatori – è apparsa una smorfia di dolore.
Ci sono casi, però, in cui un nome straniero racconta la storia di una famiglia: durante la sua permanenza in Giappone lo scrittore Fosco Maraini ha chiamato sua figlia Yuki. Un’occidentale con un nome giapponese è insolito, ma io l’ho trovato un bellissimo omaggio al paese che lo scrittore amava, come se la figlia fosse uscita dalle pagine delle sue Ore giapponesi.
In questo senso la scelta di un nome svedese mi sembra bella: basta che sia facile da pronunciare per gli italiani – non c’è niente di peggio di due genitori che non sanno dire il nome del figlio – e basta che evitiate nomi di personaggi delle soap opera, perché di Brooke e Ridge ci bastano gli originali.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it