Tim Cook, l’amministratore delegato della Apple, ha parlato pubblicamente della sua omosessualità per la prima volta. Ma è molto improbabile che il suo coming out sulle pagine di Businessweek faccia cadere qualcuno dalla sedia.
Primo, perché già lo sapevano tutti e, secondo, perché non credo ci sia più nessuno che cade dalla sedia alla notizia di un coming out.
Quello che invece vale assolutamente la pena riportare è il motivo che ha spinto Cook, in passato molto restio a parlare pubblicamente della sua vita sentimentale, a mettere nero su bianco il suo orientamento sessuale.
“Non mi considero un attivista, ma mi rendo conto di quanto ho beneficiato dei sacrifici fatti da altri. Quindi, se sapere che l’amministratore delegato della Apple è gay può aiutare qualcuno che fa fatica ad accettare la sua natura o confortare qualcuno che si sente solo o incoraggiare le persone a battersi per i loro diritti, allora vale la pena fare un compromesso con la mia privacy”.
Questa è l’argomentazione più efficace che si può dare al dibattito sulla privacy delle celebrità omosessuali. Se hanno la possibilità di fare coming out, dovrebbero farlo. Per rispetto a chi si è battuto prima di noi e per amore di quelli che non riescono ancora a farlo.
Pochi giorni fa la mia amica Irene Bernardini mi ha scritto: “Il privato è politico, dicevamo noi ragazze degli anni settanta. Ne ho scartati un bel po’ degli slogan di quei miei anni. Questo tiene. Questo me lo tengo”.
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