Le parole che abbiamo ereditato dalla Cirinnà
Che impressione hai dall’estero del dibattito parlamentare sulle unioni civili in corso nel nostro paese?–Vittorio
Più che un dibattito, lo definirei un estenuante stillicidio in cui i partiti – e le loro rispettive correnti – stanno barattando diritti e doveri degli omosessuali come se stessero al mercato delle pulci (a questo proposito ti segnalo il video di una strepitosa Lucia Ocone che nei panni della senatrice Cirinnà propone agli alleati di governo di sostituire la reversibilità della pensione delle coppie gay con il diritto a una foto autografata di Paola e Chiara, offrendo anche un borsone da palestra per le prima cento coppie che si sposano).
Considerato che si tratta di una legge vecchia di dieci anni, mi sembra che il parlamento italiano la stia facendo davvero troppo lunga. Questo infinito negoziato, però, sta avendo anche un piccolo e inatteso effetto collaterale. Rendendo familiare a milioni di italiani l’espressione stepchild adoption, in sé piuttosto brutta, sembra aver accidentalmente offerto alla nostra lingua una benvenuta via di uscita da espressioni tipo “fratellastro”, “figliastro” o “matrigna”, davvero bruttissime: ora infatti ricevo lettere in cui si parla di “stepfratello” o di “stepfiglio” che, ti dirò, come soluzione non mi dispiacciono affatto. Magari tra dieci anni questo teatrino parlamentare sarà stato dimenticato, ma avrà lasciato un’involontaria eredità linguistica molto utile alle famiglie allargate del futuro.
Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2016 a pagina 14 di Internazionale, con il titolo “Un’eredità linguistica”. Compra questo numero | Abbonati